Quando si parla di blues e rock blues inglese e delle sue origini, i primi nomi che vengono in mente sono più o meno gli stessi, a partire da quel Clapton che militò prima nei Bluesbreakers di John Mayall e poi nei Cream, riportandoci alla mente uno dei suoni di Gibson Les Paul più famosi di sempre (prima che gliela rubassero, NdR…).
Ma c’è un altro nome di quei magnifici anni in UK che è pesante come un macigno, che si lega anch’esso a quella chitarra dalle forme generose e sinuose e dal suono vellutato, che fondò insieme ad altri 3 musicisti una delle band rock blues (e poi pop) più famose di sempre: Peter Green e i Fleetwood Mac.
Quando si parla di Fleetwood Mac c’è sempre molta confusione nella mente di chi non conosce bene la storia di questa formazione, tanto da arrivare a pensare che si tratti di due band omonime. Non lo sono… ma in effetti in pratica è un po’ così.
I “secondi” Mac sono sicuramente i più noti, band di sangue misto ma praticamente americana, che ha venduto milioni di dischi grazie ad alcuni album pop-rock (e lo diciamo senza alcun pregiudizio perché sono dischi davvero belli!), primo su tutti Rumours.
Voci femminili, melodie subito orecchiabili, grande suoni di batteria e una chitarra che sa il fatto suo.
Ma prima di questi ci sono i “primi” Fleetwood Mac: inglesi d.o.c. e integralisti del blues, con qualche punta di cattiveria in più per cui oggi uniamo al genere la parola rock.
Voci maschili intense (quella di Peter stesso e quella di Jeremy Spencer, altro chitarrista), ispirate alla pelle nera, magnifiche. Chitarre ai massimi livelli sia di suono che di creatività. E ancora un bel batterista, che è poi ciò che unisce le due band: Mike Fleetwood, da cui il nome della band stessa.
In questa prima bellissima fase della storia del gruppo, troviamo il musicista scomparso da poche ore, che con la sua chitarra all’epoca ha letteralmente sconvolto e segnato pagine importantissime.
Peter Allen Greenbaum, vero nome di Green, era da un lato un chitarrista molto legato al blues d’oltreoceano, ma dall’altro lato era un musicista incredibilmente creativo e fuori dagli schemi, a partire proprio dalla sua chitarra.
E ricordiamolo, prima di co-fondare i Mac fu proprio lui a sostituire Eric Clapton nei John Mayall & the Bluesbreakers, indicendo l’album A Hard Road. Un passaggio di testimone che richiedeva responsabilità non da poco!
Per capire l’estema varietà di idee e suoni, la grande inventiva e un tocco assolutamente unico, basti ascoltare brani come “Albatross“, “Oh Well” oppure la celebre “Black Magic Woman” poi coverizzata da Carlos Santana.
Si scopre così un chitarrista abilissimo ai due estremi, quello dei suoni mellow, delle dolci carezze sulle note, e quello dell’impeto e del graffio quando c’era da “dare gas”.
Guarda il Ti Consiglio un Disco dedicato all’album Then Play On.
Come molti gruppi inglesi, appena raggiunto il successo scattarono i biglietti aerei per gli Stati Uniti e per un luogo in particolare: Chicago, patria del blues elettrico e dell’etichetta Chess.
Fu lì che Green incontrò (e dette grande prova di sé) alcune leggende quali Willie Dixon, Buddy Guy e molti altri bluesman “originali” (non lo diciamo per disprezzo verso i giovani inglesi, ma solo perché loro stessi li ritenevano tali, erano i loro miti).
Purtroppo la sua storia con i Fleetwood Mac dovette interrompersi, come molti musicisti dell’epoca fu coinvolto nell’uso di LSD tanto da diventare un forte impedimento alla sua carriera.
Carriera che comunque non si fermerà lì, Peter continuerà a suonare fino agli ultimi anni di vita e nel tempo darà alle stampe anche qualche disco oggi molto ricercato da appassionati e collezionisti, come il suo primo da solista del 1970 The End of the Game, un disco che è praticamente una lunga jam chitarristica piuttosto allucinata ma letteralmente incredibile
Userà molte chitarre durante la sua vita, ma ce n’è una che è diventata uno dei “santi graal” delle 6 corde, la sua mitica Gibson Les Paul, dal suono più unico che raro (unito alle sue mani ovviamente), vuoi anche per quel pickup volutamente in controfase.
Una ’59 – e già questo basterebbe per mitizzarla – che dopo di lui è appartenuta a Gary Moore (e scusate se è poco!) e oggi invece è saldamente nelle mani del chitarrista dei Metallica Kirk Hammett, da sempre un fan di Green (leggi la nostra news in proposito).
Addio quindi Peter, addio a quel vibrato eccezionale che fu ammirato addirittura dal Re del vibrato stesso (e del blues) B.B. King, addio a un pezzo di storia indimenticabile e che resterà immortale.
Proprio negli ultimi tempi, tra l’altro, sono uscite due raccolte dei primi Fleetwood Mac (Before the Beginning Vol.1 e Vol.2) contententi materiale ritrovato negli archivi con esibizioni live e altre takes inedite, con suoni di chitarra stellari.
Una chicca per i fan che cercherà di addolcire l’amara pillola che oggi siamo costretti a mandar giù.
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