Sicuramente “Pride and Joy” è una delle prime canzoni nella classifica delle più suonate dai chitarristi al momento della prova dello strumento in negozio, almeno a pari merito con “Stairway To Heaven”.
Certo, come si fa a non suonarla, è davvero troppo attraente: un riff così cattivo e deciso, un suono grande come il Texas, frasi talmente belle da far venire l’acquolina in bocca.
Oggi ce la prendiamo comoda e la analizziamo al microscopio.
Nel 1983, il compianto Stevie Ray Vaughan, presentò questo brano nel suo album di debutto Texas Flood, e così divenne il chitarrista e cantante che tutti noi conosciamo. Questo brano è davvero un cavallo di battaglia di molti, ma spesso si incorre nell’errore di suonarlo senza fare troppa attenzione a come vada davvero suonato.
Spesso il sound non è adatto, troppo spesso si suona in maniera estremamente delicata e scientifica. In realtà bisogna lasciarsi andare sul suo andamento shuffle, e trattare male la chitarra con la pennata più ruvida e prepotente che conoscete.
Ovvio, non perdete di vista la precisione, le note sono tutte ben definite!
0:01 – Le prime note si sentono, non sono per niente timide, c’è solo chitarra, ma se ci fosse stata anche una batteria sarebbe stato ancora più chiaro che il riff parte in levare. In ogni caso il sound è massiccio e la testa inizia già a muoversi.
0:07 – Un fill di batteria apre ad un riff in perfetto stile boogie woogie, tirato dietro al punto giusto e sporcato con un tiro del tutto texano: ci muoviamo su di un I – IV – V in E, ormai è chiaro. Poi per essere precisi siamo in Eb, ma solo perché le 012, alcuni dicono 013, sul manico di una strato, meglio accordarle mezzo tono sotto se non vuoi perdere qualche dito durante un bending.
0:31 – Inizia la strofa cantata, la ritmica è shuffle, texas blues, chiamatela come volete ma è davvero dirompente e “ritmica” nella sua apparente semplicità. Appena si va sul V compare un riff tipico dell’ambiente boogie, mentre sul turn around un bel lick riporta sul I.
1:18 – Dopo una seconda strofa con andamento simile, partono i tipici stop, li conoscete perché i Blues Brothers li hanno (ri)resi noti con “Sweet Home Chicago”. Ma sono tipici, esattamente come c’è qualcosa di tipico nella taranta, nel liscio e nel saltarello. Il blues è musica tipica, ed ha i suoi cliché, ma qui SRV ha modo di iniziare a farsi sentire come solista, e nella strofa successiva agli stacchi, che intervengono sempre sul I, riprende con la ritmica sul IV e propone una serie di lick a raffica che portano poi ad un solo meraviglioso, pieno di groove e frasi da conoscere a menadito.
1:40 – Qui ha inizio il solo, basato essenzialmente sulla pentatonica di E, potremmo chiamarla minore, ma sul blues tutto è relativo. Ovviamente poi il solo continua e tutto segue gli accordi, insomma non è una pentatonica buttata lì, tutto ha un senso e vi assicuro che quel solo suonerebbe bene mettendo in luce tutti gli accordi della progressione anche se suonasse senza nessun accompagnamento: è assolutamente autosufficiente.
2:25 – Dopo due giri interi di solo, si ritorna agli stacchi sul I, la struttura è assolutamente standard, rendersene conto darà la possibilità di suonare bene qualsiasi blues venga richiesto in una jam session, tanto per fare un esempio.
3:10 Parte il secondo assolo, anche questo tipico della struttura prima di andare a chiudere il brano, e di fatto la chiusura diventa parte integrante dello stesso, con una frase che rallenta insieme ad un fill di batteria.
Pride and Joy finisce qui, abbiamo ricavato qualche lick che vi sarà certamente utile nelle vostre sessioni di improvvisazione.
Prima di chiudere vorrei porre ancora un volta l’attenzione sull’importanza della struttura dei blues che possiamo ricavare da brani, antichi o moderni non cambia nulla, il blues si suona così, e la cosa è che quando in una jam tutti lo sanno, non c’è bisogno di avvisare prima di uno stacco e non c’è bisogno di fare segni assurdi per far capire quando e come ci sarà un finale, si andrà semplicemente verso quella direzione.
Quindi capite che è un linguaggio, spesso sottovalutato, ma non è assolutamente più semplice e scontato del jazz, che viene invece spesso venerato come il punto di arrivo o come quel territorio aperto solo a pochi eletti. Tempo fa lessi su un libro che se puoi suonare blues puoi suonare anche jazz, quindi impariamo a suonarlo davvero questo blues!
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