Dopo tanti anni su e giù da palchi, interminabili sessioni in studio e migliaia di ore di lezione, credo di essermi abbastanza chiarito su cosa debba arrivare a chi ascolta una chitarra amplificata.
Il mio suono, per come lo percepisco a casa nella fase del suo confezionamento, può subire parecchie variabili prima di arrivare all’ascoltatore finale dal vivo. Il suono, in fondo, è il nostro prodotto finale e quindi dobbiamo renderlo convincente.
Oltre all’ovvio fattore umano, in termini di stile, approccio, tocco, interpretazione e sensibilità personale, sono diversi i fattori che vanno a costituire e quindi a influenzare il prodotto finale del nostro essere chitarristi e musicisti.
Il suono nell’ambiente
Indipendentemente se suoniamo uno strumento acustico o elettrificato, l’ambiente circostante modifica il suono e la nostra percezione. Lo strumento acustico, poi, ci condiziona obbligandoci ovviamente a lavorare sulla produzione del suono e già questo ne cambia drasticamente la percezione. Una volta amplificato, invece, risente degli stessi parametri di una solid body amplificata obbligatoriamente da un amplificatore.
Il suono è quindi condizionato dall’ambiente circostante. Suonare in una sala circondata da vetrate è profondamente diverso che trovarsi in una stanza con tappeti e tende, che assorbono determinate frequenze invece che rifletterle oppure suonare su un palco all’aperto risulta molto diverso rispetto a un palco al chiuso.
Il posizionamento dell’amplificatore
Diversi ambienti producono differenti suoni e stando nello stesso ambiente, a seconda del tipo di amplificatore che avremo (aperto o chiuso dietro, combo o testata e cassa, etc.) ci chiederà, se ne abbiamo voglia e possibilità, di sperimentare diversi posizionamenti.
Lo stesso amplificatore, attaccato a un muro oppure posto in angolo ad almeno 30/40 cm, suona in due modi completamente diversi. Le onde sonore, soprattutto su un amplificatore aperto dietro, si propagano appunto anche dalla parte posteriore, miscelandosi nella prima riflessione con quelle prodotte dalla parte anteriore.
Quindi, sperimentare qualche posizione dell’ampli, invece che accontentarsi del “primo posto a caso”, credo che sia importante tanto quanto il tempo speso per scegliere gli ultimi pedali acquistati.
Ricordiamoci poi, che un amplificatore appoggiato a terra o tenuto leggermente inclinato con il cono rivolto verso di noi, ci darà sonorità e risposte completamente diverse: a questo punto anche il tipo di inclinazione diventa quindi un punto cruciale nel confezionamento del proprio suono.
Il nostro punto di ascolto
Un altro importante fattore è come siamo posizionati noi rispetto all’ampli. Se a casa siamo abituati a suonare da seduti, poi in sala prova ci ritroviamo in tutt’altra posizione, avendo così un suono profondamente diverso.
Già rimanendo nella stessa stanza, trovare la posizione che ci permette il miglior ascolto è un aspetto molto importante. Questo per poter avere il miglior controllo sulle sfumature dinamiche, ma anche nel controllo del portamento ritmico: per esempio, se manca una buona spinta sulle basse frequenze, sarà molto più complicato avere un buon groove nell’accompagnamento.
Io e l’amplificatore in sala prove
Nel momento in cui spostiamo la nostra attrezzatura da un ambiente all’altro, ci accorgiamo subito che cambia totalmente la percezione del lavoro che abbiamo fatto precedentemente per confezionare tutte le patch, assemblare pedaliere o lavorare su corde, plettro e fine regolazione della nostra semiacustica.
Ma appunto il tutto sembra quasi scomparso quando cominciamo ad ascoltarci per la prima volta in un ambiente diverso dal solito. Si tratterà quindi di fare lo stesso percorso, per andare a ricercare quello che la nostra memoria uditiva è riuscita a immagazzinare nel nostro ambiente quotidiano.
Prima di mettere mano all’attrezzatura, sperimenta diverse posizioni dell’amplificatore, tenendo presente che oltre all’ambiente diverso, ci si ritroverà immersi nel sound di altri strumenti, dove certe frequenze si sovrapporranno rendendosi più confuse, certe si cancelleranno, altre si rafforzeranno… Tutto ciò in maniera inconsapevole, almeno nella maggior parte dei casi.
Quindi serve tempo per sedimentare una prima fondamentale esperienza uditiva. Solo in un secondo momento andremo a compensare con l’equalizzatore, cercando di capire se c’è un esubero di frequenze basse o alte; partiremo quindi prima dagli estremi di banda (bassi e alti), per poi lavorare sulla presenza e fuoriuscita dal mix della band grazie alle frequenze medie.
Il live: palchi e variabili sonore
Nella vita ho attraversato centinaia, anzi migliaia di concerti in formazioni di varia natura, che vanno dall’orchestra di 140 elementi (compreso il coro gospel), passando per decine di band con fiati, doppia chitarra, pianoforte, contrabbasso o basso distorto. Senza contare il duo, che mi accompagna da qualche anno come la formazione che più mette alla prova l’essere chitarrista e musicista.
Ad ogni modo, mi sono ritrovato a suonare nelle situazioni musicali più differenti e ogni volta faccio esperienza, andando ad attingere da situazioni regresse. Quindi comprendo e ricordo bene lo sgomento dei primi concerti, in cui il suono e l’ascolto non andavano mai bene!
Serve tempo, pazienza, fare tesoro delle problematiche e di come si sono potute risolvere.
Quando si ha la fortuna di lavorare con un bravo tecnico del suono, è bene osservare attentamente come lavora dal vivo, per vedere come lui risolve i problemi di acustica che normalmente si presentano. Si possono capire quali espedienti utilizza per risolvere a volte problemi di volume, di percezione o di equalizzazione e messa a fuoco della chitarra, sia per il nostro ascolto attraverso i monitor (perché per suonare bene bisogna sentirsi bene) sia per rimandare il nostro suono al pubblico attraverso l’impianto PA.
Il cuore del nostro suono
Ora che abbiamo analizzato diversi aspetti su cui riflettere, posso portare il tutto a un’essenzialità che potrei riassumere in due punti:
A – In qualsiasi condizione mi trovo, che sia in studio con una pedaliera analogica di singoli pedali o dal vivo con una semiacustica, vado sempre a escludere tutti gli effetti e agisco con l’equalizzatore sul suono clean, indipendentemente dalla situazione musicale e dal tipo di chitarra che imbraccio. Con l’equalizzatore cerco subito un bilanciamento sui bassi, poi mi sposto dall’altra parte sulle frequenze acute, anche qui valutando se sono troppe o poche e infine lavoro sulle medie, più delicate e necessarie per mettere a fuoco il sound della chitarra nel mix della band o della dimensionalità dello strumento se sono live in duo.
B – Il riverbero, con la sua opportunità di accentuare la dimensione, profondità e ampiezza del suono, risulta quasi indispensabile. Anche se in certi casi completamente acustici (contrabbasso, batteria, chitarra, sax e tromba) in un buon ambiente, suonare completamente senza riverbero è un’esperienza meravigliosa!
Considerazioni finali
Escludendo da questo articolo chitarra, corde, plettro o dita, cavi e categorie di amplificazioni, ho voluto fare il focus su aspetti differenti e apparentemente secondari. Rimane quindi una considerazione finale: se io volessi agire sul suono in modo diretto, chiaro e netto, l’equalizzazione delle frequenze e la dimensionalità attraverso l’uso di un riverbero sono i due soggetti da tenere sempre sott’occhio… Anzi sott’orecchio!
Sono passati tanti anni da quando leggevo su riviste cartacee annoverose diatribe se fosse meglio il cuore o la tecnica. Tra le tante l’altra questione onnipresente è: il suono, chi lo fa? Le macchine o le mani del musicista?
Ora che mi ritrovo in una fase musicale differente nella vita, ho avuto modo di capire quale attrezzatura è più diretta nell’ottenere rapidamente (magari con qualche piccolo compromesso) quello che cerco nelle diverse situazioni, live, in studio o a lezione.
Ma rimane una considerazione finale, che nel tempo ho maturato nella testa il suono che cerco. Le mani sanno adeguarsi rapidamente e se ho chiarezza nell’uso di un semplice equalizzatore e conseguente riverbero, mi sento già oltre la metà nella continua ricerca del suono giusto al momento giusto, che cambia in continuazione come cambiano le persone nell’arco di una vita, oltre agli ambienti e alla semplice attrezzatura che utilizziamo.
Nello stesso tempo, il suono è sempre più lo stesso anche se cambiamo genere, chitarra e attrezzatura, diventando unico tanto quanto lo è ognuno di noi!
In ultimo, contestualizza il tutto in questo video con chitarra attaccata diretta nell’amplificatore. Nella prima parte si può sentire il suono flat con pochissimo riverbero dell’ampli, mentre da 0’56” ho tolto 3 db sui bassi, chiuso leggermente le frequenze alte ed esposto un pochino le medie e in send e return ho attaccato il pedale Zoom MS70CDR, per sostituire il riverbero dell’ampli con uno più trasparente e dinamico.
Ho continuato poi con varie prove di eq + reverb, ma sta a voi trovare il vostro “sweet spot”.
Un amplificatore ben regolato, un transistor per non avere troppa compressione e dinamica infinità, morbidezza di suono, un uso cosciente dell’equalizzazione e poco riverbero per l’ambiente: questo è quello che cerco in una chitarra semiacustica, una buona risposta a quello che cerco.
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