“Where the Streets Have No Name” è probabilmente uno dei brani più conosciuti della band irlandese, d’altronde è presente sull’album The Joshua Tree del 1987, che è da annoverare tra gli album più apprezzati e acclamati degli U2.
Tra l’altro anche il videoclip di questo brano è decisamente indimenticabile, chi non ha mai sentito parlare del video sul tetto di un palazzo a Los Angeles?
Per ciò che più interessa a noi, c’è da dire che questo brano è divenuto il manifesto dello stile chitarristico di The Edge, sia per il suo fantasioso e particolare utilizzo del delay, come pure nella scelta di triadi e voicings che lasciano intendere quanto a volte la semplicità possa pagare se unità all’attenzione per i dettagli.
Per quanto sia simile se non identica alla versione presente sul disco, ho deciso di utilizzare una versione live del brano, di preciso quella contenuta in Rattle And Hum.
Procediamo con la nostra solita vivisezione del brano, intanto vi lascio un sample audio della famosa introduzione.
Nella stessa cartella troverete anche un file Amplitube basato sul suono di The Edge.
0:01 – L’introduzione del brano è fatta da un pad di organo che crea un’atmosfera molto ambient, sicuramente merito della produzione di Brian Eno, il tutto per circa un minuto.
0:55 – Inizia qui il celeberrimo arpeggio sulla triade di D e di Dsus4, uno dei lick più famosi e certamente più rappresentativi di The Edge e del suo magistrale utilizzo del delay.
2:19 – Al termine della lunga introduzione strumentale inizia la prima strofa, accompagnata da un sapiente lavoro ritmico sulla chitarra, sfruttando sempre le ripetizione del delay con una serie di ghost note intervallate da accenni degli accordi che compongono la successione armonica I – IV – VI – V, ovvero lo standard del wall of sound.
2:48 – Arriva la seconda strofa, ritmicamente ancora ricca di ghost notes, ma gli accordi “pieni” vengono sostituiti da arpeggi che ovviamente con il delay ancora acceso danno davvero una bellissima sensazione di spazialità.
3:18 – Un fill di batteria annuncia l’arrivo del chorus nel quale troviamo un interessante utilizzo delle triadi e delle relative tensioni, infatti The Edge ci stupisce con una meravigliosa semplicità, riuscendo a creare una texture armonico/melodica con il solo utilizzo di qualche semplicissima triade. La progressione è identica a quella della strofa, quindi I – IV – VI – V, quindi D, G, Bm, A, le triadi utilizzate sono quella di D, colorata dall’utilizzo della sus4 e della quinta giusta, segue poi la triade di G, colorata da sus9 e maj7, si passa poi alla triade di Bm, con l’aggiunta di min7 e sesta, per tornare poi sul I grado.
3:46 – Inizia la seconda strofa e più o meno tutto resta invariato rispetto alle precedenti due strofe.
4:15 – Ulteriore ritornello che avvia il brano verso la chiusura portando verso il finale basato sullo stesso arpeggio che abbiamo trovato nell’introduzione.
In conclusione possiamo vedere come già nell’ambito della New Wave britannica della fine degli anni ’80 il virtuosismo chitarristico tipico di altri generi anche contemporanei andava un po’ a scemare, nel senso che difficilmente troviamo brani con lunghi assolo di chitarra e/o riff tecnicamente impegnativi.
Il cambiamento di direzione è parecchio evidente e sembra legato più alla volontà di creare colori e arrangiamenti creativi sacrificando la parte virtuosistica della faccenda. In ogni caso non si può negare l’enorme influenza che un chitarrista come The Edge ha avuto su professionisti e session man, insomma per essere chiari, chi di voi in studio o in prova non si è sentito dire “mi fai un accompagnamento alla The Edge?“.
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