Iniziamo oggi un percorso monografico che ruota intorno alla cultura della chitarra Archtop, entrando nel merito dei dettagli costruttivi, con questo articolo tratto dal libro La Chitarra Jazz Suoni e Colori scritto a quattro mani con l’amico liutaio Erich Perrotta.
Questo capitolo è dedicato ai metodi costruttivi e alla struttura della chitarra Archtop, in quanto la più rappresentativa ed utilizzata nella musica Jazz. Abbiamo già detto che la chitarra Archtop non è esclusivamente una “chitarra da Jazz”, dato che, in quanto chitarra acustica a tutti gli effetti, è stata ed è suonata in qualsiasi genere musicale.
D’altra parte nella musica Jazz ogni tipo di chitarra può avere un ruolo da “primadonna”. È vero però che la chitarra Archtop, come abbiamo visto, ha avuto ed ha un podio speciale nella storia del Jazz. Si tenga inoltre presente che gran parte delle lavorazioni qui descritte sono comuni ad ogni tipo di chitarra.
Non sarà questo un capitolo esaustivo, né un manuale di liuteria, ma solo un quadro ad ampie pennellate di come viene costruita una chitarra Archtop.
Abbiamo deciso di intitolare questo capitolo Architettura della chitarra Archtop per le innegabili analogie che si possono riscontrare tra le due arti, l’architettura e la liuteria, principalmente da due punti di vista. Anzitutto da quello strutturale dato che entrambe condividono problematiche e soluzioni simili tra loro, si pensi ad esempio alla statica delle costruzioni in architettura e all’incatenatura delle tavole armoniche nelle chitarre.
In secondo luogo è innegabile la relazione estetica che intercorre tra le due, come avviene ad esempio per il ricciolo nel manico dei violini che ricorda molti motivi decorativi architettonici d’origine classica.
In particolare per quanto riguarda la chitarra Archtop, l’evoluzione architettonica (ed artistica in generale), specialmente della città di New York, ha fortemente influenzato l’estetica degli strumenti dei più grandi liutai della storia.
Un esempio su tutti: nel 1929 fu inaugurato l’hotel New Yorker, nell’allora innovativo stile Art Déco, a cui il liutaio newyorkese John D’Angelico apertamente s’ispirò per creare il suo nuovo modello del 1930, “New Yorker” appunto.
Ma lo stesso tipo di influenza si può trovare nell’opera di James D’Aquisto e di John Monteleone. Si vedano ad esempio gli elementi decorativi del modello “Avant Garde” di D’Aquisto in relazione al Chrysler Building o il modello “Radio City” di Monteleone ispirato al celeberrimo teatro.
Probabilmente abitare una città architettonicamente all’avanguardia come New York non può che influenzare l’opera del liutaio che la vive, ne assimila lo “spirito” e ne trae ispirazione.
Possiamo considerare la chitarra Archtop, come del resto tutti i tipi di chitarra, come un sistema complesso di “molle” che interagiscono, determinando le caratteristiche tonali dello strumento: la tavola armonica, il fondo, le fasce, il manico e le corde. Ovviamente questa non è che una semplificazione, poiché ognuna di esse è a sua volta un sistema complesso di elementi.
Oltre a queste “molle” ci sono componenti strutturali di importanza non secondaria che funzionano seguendo criteri propri e che si sono tradizionalmente sviluppati seguendo determinati standard: il ponte, la cordiera e la parte elettronica, in cui l’elemento principale è il pickup, o magnete.
La chitarra Archtop nasce dalla felice intuizione del liutaio Orville Gibson nell’applicare i principi costruttivi del violino alla chitarra.
La costruzione di questi due strumenti è quindi quasi del tutto simile, anche nei materiali, sebbene il risultato acustico sia completamente diverso. Questa differenza è principalmente il risultato del diverso sistema utilizzato per “attivare” il movimento delle corde, con l’arco in un caso, a pizzico nell’altro.
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