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Dove finisce il suono acustico di una chitarra semiacustica?

Di questo argomento ne ho già abbondantemente parlato su queste pagine con diversi articoli: il suono acustico di una chitarra semi-acustica è un argomento che involontariamente genera sempre tediose discussioni.

Di questo argomento ne ho già abbondantemente parlato su queste pagine con diversi articoli: il suono acustico di una chitarra semiacustica è un argomento che involontariamente genera sempre tediose discussioni.

Di fatto, il suono che sentiamo “in acustico” per poi essere amplificato, viene in qualche modo tradotto in un altro linguaggio, che poi viene a sua volta convertito, elaborato e riprodotto attraverso un sistema d’amplificazione. Quindi il suono del nostro strumento a tutti gli effetti viene stravolto diverse volte prima di ritornare alle nostre orecchie.
Prima di continuare, ve lo ricordate questo nostro vecchio video?

Una prima considerazione, a mio avviso molto importante, è la scelta che fa il costruttore della chitarra ascoltandola acusticamente, per cercare di replicare la stessa idea sonora attraverso il pickup. Il sistema elettronico di pickup adottati è quindi di assoluta rilevanza.
Ma poi all’annosa questione di riprodurre l’acusticità di una chitarra, esperti liutai ti dicono che il suono acustico è solo una componente del suono finale: cioè, bisogna essere consapevoli dell’apporto che darà l’amplificazione nella fase di costruzione della chitarra.
Indubbiamente le stesse corde (componente primario della generazione del suono) abbinate a determinati pickup, se montati su due differenti chitarre, ci daranno due suoni diversi, che possono avere caratteristiche diametralmente opposte.

Per un paio di dischi e nella stesura del libro La Chitarra Jazz – Suoni e Colori ho studiato un triplice sistema d’amplificazione, che in un’unica take potesse catturare il suono dello strumento “da acustico”, attraverso due microfoni a condensatore, poi con una DI che mi sdoppiava il suono per catturare una linea diretta in uscita dal pickup e successivamente l’altro segnale mandato in un’altra sala per microfonare così anche l’amplificatore, ottenendo tre suoni distinti:

  • lo strumento acustico
  • il suono del pickup
  • il suono dell’amplificatore

Avevo già esposto questo sistema di registrazione, ma la domanda che sorge spontanea è “Come sarebbe possibile ottenere questo sound dal vivo?“.
Faccio quindi queste riflessioni:

A – Oltre all’amplificazione tramite il classico amplificatore della nostra chitarra semi-acustica, si potrebbe mettere un microfono a condensatore davanti allo strumento, ma il tutto sarebbe oltre che poco pratico, di sicuro insuccesso, in quanto questo microfono catturerebbe anche il suono degli altri strumenti e comunque, fosse anche chitarra sola, il suono dell’amplificatore rientrerebbe nel microfono andando a sommarsi (e a sovrastare) il delicato suono acustico.

B – Esistono in commercio dei piccolissimi microfoni a condensatore, che si possono installare all’interno di chitarre acustiche (flat top) e che potrebbero riprodurre il suono del nostro strumento: per questa tesi credo proprio che prossimamente mi darò a qualche sperimentazione in questa direzione.

C – Imparare ad ascoltare con molta attenzione il suono da spenta (quindi non amplificato) della nostra chitarra e cercare di riprodurne e in parte ricrearne le caratteristiche attraverso l’amplificazione. Tutto ciò tenendo presente che l’effetto dato dall’acusticità risiede soprattutto sulle frequenze medio alte o quanto meno, in questa fascia di frequenze, abbiamo un grande contenuto di armoniche e il suono ha la possibilità di essere libero e poco enfatizzato rispetto all’apporto che può dare il pickup e l’amplificatore nei confronti delle basse frequenze.

D – Prendere coscienza e consapevolezza che il suono acustico è solo una componente del suono finale che porteremo al pubblico che ci ascolta.

Ho fatto personalmente centinaia di test di strumenti, prove e verifiche in studio di registrazione, comparazioni e notti insonni e trovo ingiustificati gli ormai quotidiani commenti da web, che comparano qualsiasi tipo di semiacustica sotto il migliaio di euro come “cinesate che sanno di plastica“, rispetto a quella L5 del ’64 o allo strumento raffinato di liuteria.
Vorrei dare per assodato che i parametri che ci pongono di fronte a una scelta di uno strumento, a parte l’ovvio portafoglio, non possono e non devono restringersi solo e unicamente intorno al suono e tanto meno alla sua componente acustica.

Attenzione, non ne sto negando l’esistenza e non sto affermando che un’Ibanez da 600 Euro suona come una Gibson vintage da 10.000 Euro, ma semplicemente fare cultura del suono e dello strumento ha un significato molto preciso: arrivare a comprendere cosa può giustificare questa differenza di prezzo e se siamo disposti ad accendere un mutuo per avere un’identità acustica, che il nostro maestro decanta come una sorta di santo graal.

Personalmente, nelle mie svariate performance live sono state davvero pochissime le situazioni di un’acustica perfetta dell’ambiente (sale da concerto, chiese sconsacrate, ecc.) in concomitanza di un pubblico attento e soprattutto silenzioso, che avrebbero potuto valorizzare la componente acustica del mio strumento.
Credo fermamente che il suono sia frutto di una storia personale diversa per ognuno di noi, dettato sì da attrezzatura e scelte oculate, ma anche dalla propria formazione musicale e non di minor importanza da ciò che abbiamo ascoltato.

Poi nella ricerca e nel confezionamento del suono, credo che sia di fondamentale importanza il poter prendere in considerazione diversi parametri:

1 – Equalizzazione generale – Com’è la qualità delle varie frequenze? Troppi bassi o troppo pochi? Cantini caldi, rotondi e avvolgenti o troppo frizzanti e pungenti?

2 – La dimensionalità Il nostro suono come riempie l’ambiente in cui stiamo suonando? Si creano inutili riflessioni? Risulta rimbombante o povero e spento?

3 – La profondità – Se ne abbiamo la possibilità, possiamo ascoltare il nostro suono dal punto di vista del pubblico? Solitamente sotto ai piedi ho la mia Zoom G3, che per il jazz utilizzo praticamente solo per il riverbero (di qualità migliore rispetto a quello dell’amplificatore) ed eventualmente utilizzo un equalizzatore se devo intervenire più accuratamente rispetto ai controlli dell’amplificatore. Ma in questo caso quello che sfrutto veramente è la loop station, che mi permette di registrarmi 30 secondi durante il soundcheck, per poi andare ad ascoltare giù dal palco come arriva il mio suono, visto che sono parecchie le variabili che ci sono tra me, la chitarra e i vari fattori nella produzione del mio suono finale.

4 – La dinamica – Un fattore molto importante, che a volte va ben oltre il significato delle note, è appunto l’escursione in dinamica, che tanto più è ampia e regolare, tanto più darà modo al musicista di potersi esprimere, enfatizzando la sua esecuzione e la sua personale interpretazione attraverso innumerevoli sfumature.

In conclusione, trovo personalmente che il nostro suono non deve essere “acustico” a tutti i costi, ma deve essere convincente, deve emozionare aldilà della sua natura. Ho visto musicisti jazz imbracciare la semiacustica collegata a una cascata di rack digitali stile anni ’90, tanto quanto grandi nomi adottare semplicemente chitarra e amplificatore.

Pensiamo addirittura al grandissimo Tuck Andress, che da sempre per scelta personale ad ogni concerto non utilizza neanche l’amplificatore, ma entra direttamente nell’impianto passando attraverso un equalizzatore a 32 bande, finemente regolato anche per due o tre ore: indubbiamente la prima caratteristica che andiamo concretamente a riconoscere è l’originalità e la riconoscibilità del suo suono.

Andiamo quindi alla ricerca del nostro carattere, del nostro suono e della nostra possibile unicità, invece che inseguire mode o inutili commenti di invasati del vintage a tutti i costi, perché decantano che solo così la chitarra suona nel modo giusto.

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