Inizio questa collaborazione con MusicOff grazie alla mia grande passione per la chitarra semiacustica e tutto ciò che ovviamente gli ruota intorno: il suo suono mi ha fatto innamorare della musica costringendomi a praticare con dedizione e caparbietà.
Vorrei quindi condividere questa passione con tutti voi.
Dopo questo primo articolo dedicato alla storia di questo strumento, qui la prima parte e a breve arriverà il seguito, mi occuperò di far conoscere al meglio le diverse peculiarità insite nelle chitarre semiacustiche: parleremo di amplificazione e di pickup, di legni, corde e confronti oggettivi che permettano di chiarire un percorso di conoscenza della chitarra semiacustica.
Come riporto nel libro La Chitarra Jazz Suoni e Colori (scritto a quattro mani insieme all’amico liutaio Erich Perrotta) le differenze tra strumenti a volte sono sottili, ma intrinseche in ogni particolare che compone una chitarra e soprattutto sono sempre elementi che contraddistinguono il carattere sonoro.
Cominciamo quindi questo percorso con un pochino di storia della chitarra semiacustica, ma senza annoiare (si spera!). Ecco un estratto dal primo capitolo del libro, che non a caso è intitolato “Un po’ di storia… ma non troppa!”.
I problemi inerenti alla ricostruzione storica della nascita ed evoluzione dell’uso della chitarra in ambito Jazz sono in parte legati al genere stesso.
Sebbene esso sia nato in tempi relativamente recenti, la fine dell’800, il suo iniziale contesto razziale, in un’epoca di pregiudizi e di segregazione, ha fortemente limitato l’interesse, quando non ha creato addirittura avversione, della cultura “ufficiale” e quindi la documentazione disponibile risulta frammentaria, soprattutto per il primo periodo.
Un altro problema relativo alla ricostruzione storica del ruolo della chitarra in ambito jazzistico è conseguenza delle caratteristiche tecniche di questo strumento in quel periodo, che ne limitavano fortemente il volume e quindi le funzioni. È interessante notare come l’evoluzione di molti altri strumenti musicali nella versione moderna prenda il via, in epoche diverse, dal tentativo di aumentarne il volume.
Così è stato per il violino ad opera di Stradivari, per la chitarra classica ad opera di Torres, per il pianoforte ad opera di Steinway.
Sarà quindi il tentativo di risolvere proprio questo problema che porterà come vedremo a un ricco fiorire di ricerche, sperimentazioni e soluzioni in ambito chitarristico, che influenzeranno da vicino anche tutta l’evoluzione musicale dell’ultimo secolo.
Un aspetto molto interessante, che ricerche ben più importanti della nostra hanno approfondito, è capire quanto l’evoluzione tecnico-tecnologica influisca sull’espressione artistica e viceversa. Il Rock, ad esempio, non sarebbe esistito per come oggi lo conosciamo se non fosse stata inventata la chitarra elettrica. Viceversa, la chitarra elettrica nasce per rispondere a precise esigenze artistiche.
Probabilmente è un po’ come chiedersi se è nato prima l’uovo o la gallina!
Per semplificare possiamo dire che la data di nascita della musica Jazz è comunemente considerata il 1894-1895. È di questi anni infatti la prima testimonianza documentale, una foto di una marching band, i primi gruppi Jazz di New Orleans. È interessante vedere come già in questa foto del 1894 della band di Buddy Bolden (1877–1931) sia presente, in prima fila, il chitarrista Brock Mumford, a testimoniare come fin dai suoi albori la musica Jazz prevedesse un ruolo per la chitarra.
Siamo nel periodo a cavallo tra la fine dell’800 e i primi del ‘900, quindi, e iniziano a diffondersi le grandi orchestre Jazz composte da sezioni ritmiche, pianoforti e sezioni fiati. L’attività di queste band consiste esclusivamente in sessioni dal vivo. Le stesse registrazioni non sono altro che riprese live con l’uso di diversi microfoni.
In questo contesto si capisce il principale problema strettamente correlato alla ricostruzione della funzione della chitarra in ambito Jazz di questo periodo: il volume.
I vecchi modelli di chitarra si trovavano nell’impossibilità di farsi sentire al di sopra di strumenti dalla voce ben più poderosa. Stiamo parlando della chitarra così come era arrivata nella sua evoluzione ottocentesca, con superfici limitate e una struttura di catene piuttosto esigua e certamente non adatta a produrre volumi adeguati alle big bands.
Secondo molti in realtà la chitarra era largamente usata soprattutto dai cantanti, con una tecnica piuttosto evoluta di assolo e riff, per accompagnare la linea melodica della voce. È invece il banjo, con la sua struttura molto più resistente e quindi meglio adatta a sopportare la forte tensione delle corde in acciaio (che iniziano ad essere prodotte in questo periodo), a sostenere la sezione ritmica.
L’orchestra di Duke Ellington, la più nota ed attiva dell’epoca, fino all’inizio degli anni ’30 utilizza per lo più il banjo. D’altra parte si possono ritrovare (o sentire, meglio!) forti influenze tecniche musicali reciproche tra i due strumenti, tra il banjo e la chitarra, ad esempio nello stile chitarristico degli anni ’30 di Carl Kress, Dick McDonough e George Van Eps, per fare degli esempi di suonatori di banjo dedicati alla chitarra.
Lo stesso Django Reinhardt, che diventerà una pietra miliare della chitarra Jazz con il suo stile inconfondibile, iniziò come suonatore di banjo e passò all’uso della chitarra in seguito ad un incidente alla mano sinistra nel 1928.
La chitarra Archtop, dunque, nasce in un momento storico preciso e per precise esigenze, e ha addirittura un padre, o quantomeno un patrigno ufficialmente riconosciuto: Orville Gibson.
È in questo periodo, per risolvere i problemi della “cenerentola” delle big bands, fortemente espressiva ma relegata a ruolo marginale, che vari liutai, chitarristi ed ingegneri appassionati, non disposti a lasciare alla chitarra una pura funzione scenica, decidono di cercare una soluzione alla carenza di volume.
Molte sono le strade percorse, non sempre intraprese da felici intuizioni o approdate ad esiti positivi. Famoso è l’aneddoto di Les Paul, colui che disegnò successivamente il noto modello di casa Gibson, e di altri meno noti, che tentarono di amplificare la chitarra posizionando la testina di un giradischi sulla tavola armonica.
Nascono però in questo periodo tutti i modelli di chitarra come oggi la conosciamo: la chitarra acustica (ad opera del liutaio di origine tedesca Christian Frederick Martin), le chitarre resofoniche (quelle “di ferro”, per intenderci, da un’idea dei fratelli Dopiera, di origine cecoslovacca, da cui DOpyera BROthers, DOBRO), il primo modello di pick up elettrico (inventato da Rickenbacker, ma reso famoso da Gibson e Fender), la chitarra acustica Selmer-Maccaferri (resa famosa dal chitarrista gipsy Django Reinhardt) e la chitarra Archtop.
Come dicevamo, è Orville Gibson colui che viene comunemente considerato l’inventore di quella che oggi chiamiamo chitarra Archtop. Liutaio di origine inglese, considerato un abile chitarrista, nel 1896 apre un piccolo laboratorio artigianale a Kalamazoo nel Michigan dove inizia ad applicare i principi costruttivi della liuteria classica, d’importazione europea, a mandolini e chitarre.
È del 1898 un suo brevetto per mandolino e chitarra con il quale inizia ad introdurre le modifiche che rivoluzioneranno la liuteria: tra le altre, la più interessante riguarda le fasce degli strumenti che, anziché essere piegati, vengono ricavati da blocchi solidi perché, sosteneva Gibson, il legno non stressato e scaldato per la piegatura possiede caratteristiche di risonanza superiori.
Le modifiche strutturali, oltre alle fasce, introdotte da Gibson sono profonde: tavola armonica e fondo vengono scolpiti a “guscio” da legni masselli (da cui il nome arched top, o tavola bombata), il manico viene inclinato rispetto al corpo e il ponte non è più incollato ma tenuto in posizione dalla pressione delle corde, come nei violini.
La nuova struttura è in grado di sostenere tensioni di corde maggiori e di produrre volumi superiori, anche se ancora non sufficienti. Inizialmente la buca di risonanza rimane circolare, successivamente sostituita da due buche ad “effe” ai lati del ponte, esattamente come nei violini.
Uno dei primi modelli di questo tipo di chitarre è la “style O“, con buca ovale appunto, del 1898. Le tecniche costruttive sono le stesse ancor oggi utilizzate in liuteria, come il cosiddetto tap tuning, vale a dire l’arte di battere la tavola armonica e il fondo durante la scolpitura fino ad ottenere la frequenza di risonanza desiderata.
Nel 1902 un gruppo di cinque imprenditori locali acquista la Gibson Company Ltd, e Orville Gibson, pur non facendo parte della società, rimane come consulente. Cambiano così non solo le prospettive della ditta, ma anche il metodo distributivo.
Mentre Orville Gibson lavora come liutaio direttamente con i musicisti, la Gibson Ltd. inizia a produrre in scala industriale con diversi operai specializzati, pur mantenendo le tecniche costruttive artigianali del fondatore, e si affida a un’ampia rete di venditori. I cataloghi dei primi anni sono dedicati principalmente a mandolini e chitarre-arpa.
Nel 1919 inizia una delle più proficue collaborazioni in casa Gibson: quella con l’ingegnere e musicista Lloyd Loar, assunto poi dal 1922. Il suo lavoro presso Gibson durò solo fino al 1924, perché le innovazioni che introdusse non riscossero un immediato successo commerciale, sebbene avrebbero poi lasciato un segno ben più duraturo nella storia.
Tali e tante erano le sue intuizioni da risultare molto influenti soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo dei modelli in termini di suonabilità e tono. Loar non era un liutaio, ma le modifiche che apportò ai modelli di chitarra andavano esattamente nel senso di un avvicinamento alla liuteria classica violinistica: dagli spessori della tavola armonica, alle “effe“, alle catene.
È da questa collaborazione che nasce, nel 1922, il mitico modello L5, considerato ancora oggi lo standard della chitarra Archtop e praticamente la prima chitarra di questo genere. Con una cassa particolarmente ampia e già tutte le caratteristiche tipiche, come tavola e fondo bombati e le buche ad “effe” (l’unica con questo tipo di buche prodotta fino al 1932), cominciava a far sentire il proprio volume all’interno delle Big Band.
Sempre al “periodo Loar”, nel 1921, risale il brevetto Gibson del truss-rod, quella barra in acciaio che rende il manico regolabile e ne permette quindi una migliore maneggevolezza.
Non si deve però pensare che l'”invenzione” (anche se in realtà si tratta di una evoluzione) della chitarra Archtop abbia istantaneamente preso piede nella musica Jazz e soppiantato ogni altro tipo di chitarra. Grandissimo e larghissimo uso è stato fatto durante questi e i successivi anni di chitarre di vario genere, principalmente flattop (le acustiche stile Martin, per capirci) o delle Selmer-Maccaferri.
Nel 1934 casa Gibson inserisce nel proprio catalogo il modello Super 400, ancora una volta una innovazione nel mondo delle Archtop. Con una cassa particolarmente grande (18 pollici ai lobi inferiori) diventa il modello “di lusso” in un catalogo già di altissimo livello, con finiture, materiali e lavorazioni a dir poco superlativi. Contemporaneamente il catalogo Gibson si arricchisce di diversi altri modelli, come la L7, la L10 e la L12, mentre la L5 viene portata dalla misura di 16 a 17 pollici per i lobi inferiori.
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