Continuiamo l’intervista a Charles “Chip” Todd, ingegnere meccanico americano che ha lavorato prima come responsabile del neonato settore chitarre della Peavey Electronics, poi come direttore del settore Research and Development per Fender Guitars, Rogers Drums and Drumsticks, Rhodes Pianos, Squire Strings. Ha infine collaborato anche con Schecter Guitars, prima di passare ad altri settori.
Leggi la prima parte dell’intervista
Quali furono i suoi ruoli alla Peavey e alla Fender?
Il mio titolo alla Peavey era “Guitar Division Manager” e inoltre ero l’unico ingegnere progettista per il programma. Fui assunto direttamente da Hartley Peavey per avviare lo stabilimento di produzione delle chitarre, e fui l’unico impiegato per il primo anno.
Dal momento che gli stabilimenti dedicati agli amplificatori e agli altoparlanti erano pienamente produttivi, e il “guitar-project” era nuovo e interessante per Hartley, lui ed io passammo un sacco di tempo assieme. Avevamo idee quasi identiche su quel che c’era da fare, e su quello di cui avevamo bisogno per raggiungere i nostri obiettivi.
Hartley è un genio industriale, e come ebbi modo d’imparare, anche parecchio meccanicamente avveduto. Mi disse che avendo una fabbrica di amplificatori profittevole per pagare i conti, non avrebbe spinto per dare avvio alla produzione finché io non avessi detto che eravamo pronti.
L’unica altra ditta ad avere una condizione così ideale avrebbe potuto essere la Ovation, ma loro cominciarono con metodi antiquati e continuarono ad usarli.
Hartley ed io scegliemmo di modificare le principali macchine per la lavorazione del metallo in modo che potessero lavorare il legno e avemmo l’intuizione per la favolosa macchina per la tastatura costruita per noi dalla Keip Machine Co., in Michigan.
Quella fu la più fantastica macchina immaginabile, riceveva i manici appena scolpiti e segava le sedi per i tasti, faceva avanzare il fretwire e lo pressava sul manico, tutti i tasti in una volta, con una tolleranza di pochi millesimi di pollice.
Tagliava anche la sede del capotasto, cosicché non dovemmo mai occuparci di alcun lavoro di set-up, tipo rettificare la tastiera o occuparci dei solchi del capotasto (anche perché utilizzavano capotasti metallici pressofusi, come quelli che si trovano sui T40 e T60, che non avevano bisogno dell’opera di limatura dei solchi, nda).
Dopo sei anni, io ero in anticipo coi progetti di numerosi anni rispetto alla produzione, così fui coinvolto nella progettazione di casse per altoparlanti e via dicendo. L’intera produzione fu girata ad un altro dipendente, e io ne fui molto annoiato.
Saltò allora fuori la Fender, che mi offrì il triplo del mio stipendio e la posizione di “Director of Research and Development, Strings and Percussion”. Ciò comprendeva l’ingegnerizzazione e la progettazione di chitarre, batterie e corde. Firmai un contratto di tre anni, e un mese dopo che io cominciai a lavorare la CBS cambiò il management.
Tutta la direzione, eccetto la mia posizione, fu sostituita da ex-manager della Yamaha. Rimasi al mio posto fino alla scadenza del contratto.
Quali furono le novità introdotte da lei e Hartley Peavy con le serie T-40 e T-60?
Prima di tutto, non c’erano altre chitarre nel settore di medio prezzo e l’industria, nella sua interezza, sosteneva che non ci fosse mercato in quella fascia. Hartley ebbe un bel successo nel trovare un “buco nel mercato” e nel riempire quel buco col suo prodotto. È un maestro nell’abbattere i costi di produzione senza ridurre il valore percepito.
Eravamo entrambi appassionati di aeroplani, e realizzammo che nessuna finitura aveva una vita più dura di quella applicata ai velivoli, che “viveva” all’esterno in condizioni severe. La finitura Dupont “Emron” era assolutamente troppo costosa per rientrare nel budget, così chiedemmo alla Sherwin-Williams di tirar fuori una finitura uretanica catalizzata che fosse altrettanto durevole della Emron. E così fecero.
Eravamo inoltre consapevoli che installare i tasti con una pressa fosse l’unico sistema intelligente per farlo, perché martellarli ne distorceva la forma. Fender li inseriva a spinta dal lato. Sia martellarli che inserirli di lato richiedeva circa trenta minuti, compreso un bel po’ di lavoro di ritocco.
La nostra macchina tagliava le sedi dei tasti e i solchi del capotasto, faceva avanzare il fretwire e lo pressava in un’unica volta, tagliava l’eccesso da entrambi i lati e limava le estremità. Pressare tutti i tasti in una unica soluzione richiede una pressione di 45 tonnellate perché vengano inseriti in maniera uniforme. Questa macchina compiva tutti i passaggi in circa 13 secondi, e non dovemmo mai occuparci di rettificare la tastiera o rifinire le estremità dei tasti.
Fummo anche i primi a fare un uso così esteso di componenti pressofusi, e di un meccanismo di regolazione dell’inclinazione del manico poco costoso. I primi inoltre ad usare custodie modellate ad aria, che erano incluse nel prezzo dello strumento.
La Gotoh costruiva per noi le meccaniche su nostro progetto. Usavamo poi resina epossidica per incapsulare interamente le bobine e tutta la parte interna dei pickup.
Fummo i primi a conservare il legno in un ambiente controllato prima che venisse incapsulato dalla finitura. Introducemmo inoltre un set di corde bilanciato, che ora è lo standard dell’industria.
Il brevetto più innovativo che ricevemmo riguardava il nostro metodo di installare il truss-rod nelle tavole squadrate, prima che venissero intagliate in forma di manico da una macchina di quelle usate per fabbricare gli affusti dei fucili.
La macchina scolpiva e rifiniva quattro manici in pochi minuti, manici che poi non avevano bisogno di alcuna carteggiatura ulteriore, ma ancora più importante, la macchina non rovinò mai un truss rod. I manici erano incredibilmente costanti in qualità, a differenza della concorrenza.
Fummo i primi a usare macchinari controllati da computer per fresare i body, e il sistema air-logic per controllare la tastatura. Credo che potrei continuare all’infinito, dal momento che non facemmo nulla che assomigliasse al sistema allora corrente di produrre chitarre.
Un’ultima domanda: è vero che all’epoca, durante gli anni ’70, praticamente chiunque riteneva che un legno più pesante avrebbe restituito una maggiore risonanza?
La mia risposta alla domanda è: si, fu il più forte pregiudizio dell’epoca.
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