Ci sono molte consuetudini che seguiamo durante tutta la nostra esistenza, per esempio: ai matrimoni si veste elegante, ai funerali si dice “condoglianze”, al mare si fa il bagno non prima di tre ore di distanza dal pasto. Credo che tutti mi darete ragione se dico che nessun matrimonio sia fallito perchè un invitato vestiva di viola, nessun parente del defunto abbia sofferto di più per aver ricevuto un abbraccio silenzioso in luogo della noiosa formula e nessuno sia mai morto in acqua per un bagno fatto incautamente troppo vicino al pasto (mah… forse uno o due per le troppe porzioni di melanzane alla parmigiana…).
Di fatto la maggior parte di noi è abituato a seguire delle abitudini, delle regole, delle consuetudini, in tutti i contesti. Nel mondo che interessa a noi qui, quello degli strumenti a corda, spesso si ha la stessa tendenza.
Una strato deve essere fatta in ontano o frassino e il suo manico è in acero o acero/palissandro. Un Les paul è tale solo se è in mogano col top in acero e la tastiera è in palissandro. Una tele ha il ponte a tre sellette in ottone.
I legni usati per la maggior parte degli strumenti elettrici si contano sulle dita di una mano: mogano, ontano americano, acero, frassino, palissandro. Se vogliamo usare anche l’altra, di mano, aggiungiamo ebano, noce, tiglio o pioppo se si vuole risparmiare, e una spruzzata di legni africani misti se ci si vuol riempire la bocca di qualche termine esotico: Wengè, Korina, Bubunga, Ovangkol e chi più ne ha più ne metta.
Ma perché sempre gli stessi legni?
Indubbiamente esistono delle motivazioni che storicamente hanno portato all’utilizzo di queste essenze, ma non sono tutte ricondicibili alla loro resa sonora. Ce ne sono molte altre, soprattutto di ordine economico: costo dei materiali, esigenze di lavorazione, reperibilità dei materiali e riproducibilità degli stessi risultati. Se il vecchio Leo Fender, ai suoi tempi, avesse avuto a disposizione qualcosa di diverso dall’ontano, ora magari la maggior parte delle stratocaster sarebbe in altri materiali.
I primi prototipi di telecaster per esempio, erano in pino, poi scartato perchè di difficile verniciatura in quanto troppo morbido (allora si desideravano lisce e sgargianti chitarre anni ’50-like) e la scelta del frassino leggero (swamp ash) si scontrò presto con la limitata reperibilità di questo materiale, deviando il corso degli eventi verso ciò che conosciamo oggi: ontano, frassino pesante negli anni ’70, etc…
Le vie percorse sono state tante, ma sicuramente sono molte di più quelle lasciate inesplorate. Certo è che esistono legni non proprio adatti per la costruzione di strumenti a corda, per via del peso, o delle caratteristiche meccaniche, difficoltà di finitura o altro.
Certo è che ne esistono molti altri che invece funzionano molto bene, alcuni assolutamente equivalenti ai “classici”, altri che invece propongono risultati magari non proprio aderenti al 100% a quello che siamo abituati e altri ancora che ne producono altri ancora decisamente differenti… il punto è se considerare questo fatto un handicap o un vantaggio. Per me è un vantaggio.
Uno dei lati positivi di costruire strumenti in numero limitato, senza essere una grande azienda con produzioni numerose e approvvigionamente importanti a scopo risparmio, è proprio quello di poter fare delle scelte controcorrente. Il mondo degli strumenti artigianali, a mio avviso, poteva tranquillamente fare a meno di altre strato in ontano, tele in frassino o junior in mogano costruite da me. Senza nulla togliere a chi utilizza queste essenze, io ho voluto provare qualcosa di diverso, sia a livello di materiali che dal punto di vista stilistico, e a volte le due cose interagiscono tra loro.
La difficoltà è fare accettare questi concetti ai chitarristi. Quale modo migliore di costruirne un po’ e farli provare in giro? Devo dire che, a dispetto della “originalità” di molte mie scelte ho spesso trovato con non troppa difficoltà chi ha condiviso questa mia visione “anticonformista”. Accostare a un parco strumenti già esistente una chitarra con una “voce” leggermente diversa dettata dai legni può essere una scelta molto fruttuosa.
Nella mia esperienza di costruttore mi capita sovente di usare legni cosiddetti “tradizionali” e di certo non disdegno le loro caratteristiche e la “sicurezza” che trasmettono in termini di risultati ma ho approfondito e consolidato l’uso di altre essenze più “anticonvenzionali”.
Le caratteristiche da tenere in considerazione sono soprattutto la densità, la resistenza meccanica e l’elasticità. E soprattutto la stagionatura, spesso sottovalutata. Spesso legni particolari offrono diverse possibilità anche in fase di finitura. Occorre avere un po’ di fantasia e mentalità aperta ovviamente.
Per i manici, oltre al tradizionale acero e raramente al mogano, uso molto spesso il frassino, sia monoblocco che accoppiato a una tastiera in palissandro o in wengè.
Dotato di un’ottima resistenza meccanica ed elasticità, presenta una spiccata variabilità in densità. Si possono trovare pezzi molto duri e pesanti e pezzi decisamente più “ariosi”. Il risultato è un moderato aumento delle medie frequenze. Il sustain generale non ne risente. Per la finitura si presta meglio a un satinato a poro aperto anziche lucide e la variabile “roasted” che spesso utilizzo associata a strumenti col corpo in pino mi piace molto.
Il pino che uso per i corpi (io utilizzo principalmente yellow pine, fibra lunga e rigida e assenza di nodi) una volta trattato adeguatamente ha un look a mio avviso strepitoso.
Dal punto di vista sonoro fornisce poche basse (a mio avviso spesso un vantaggio su una chitarra) parecchie medie ed è abbastanza brillante, specie se accoppiato a un manico in acero. L’unico neo che riscontro è che è piuttosto difficile trovare pezzi molto leggeri, ostacolo che aggiro realizzando sovente dei corpi semi hollow.
Il pioppo è stato storicamente e anticamente molto usato in europa per la costruzione di strumenti musicali. Le parti radicali presentano una densità piuttosto elevata e un peso consistente ma “suonano” con un ottimo sustain e hanno delle figurazioni a volte spettacolari, molto più irregolari e “imprevedibili” dell’acero. A me i nodi e le fessure non fanno paura, se il legno è datato, anzi, danno un carattere unico e irripetibile a ogni strumento.
Altre qualità di pioppo forniscono invece una leggerezza sorprendente e “cantano” molto bene. Accoppiati a pickup humbucker che compensano un po’ la mancanza di medie di questi legni leggeri mi hanno sempre ripagato della fiducia che gli ho accordato.
Il Noce è un legno particolare, un po’ rognoso perché a volte instabile e piuttosto pesante, fornisce però un suono che ha un carattere tutto suo. Bellissimo e con colorazioni meravigliose, dà il meglio di se se lasciato naturale.
Il castagno lo considero un sostituto del frassino come legno per i body. Tendenzialmente pesantuccio, ma non sempre, ha una grana e un disegno simile a quella del suo cugino chiaro, anche se è meno rigido e duro, Lo ricorda molto nelle venature se tagliato alla stessa maniera e ha un colore decisamente particolare, difficile riprodurlo.
Ha un po’ di tendenza a “spaccare”, quindi a volte è difficile trovare pezzi abbastanza grandi per dei corpi in pezzo unico anche se le tavole sono generose.
Questi sono esempi dei legni che uso più frequentemente ma perchè limitarsi a questi ì? Faccio qualche esempio che ho in mente ma non ho ancora messo in opera…
Pero come sostituto dell’acero?
Ulivo al posto del palissandro?
Robinia per i manici?
Basta togliersi dalla testa il preconcetto che uno strumento deve essere costruito delle solite essenze, che deve essere liscio, verniciato, perfetto… e si apre un mondo di possibilità estremamamente interessanti. Che dire, io credo che gli strumenti vadano giudicati ascoltandoli, invece che consultando le schede tecniche.
Orecchie aperte quindi e non fate troppe ricerche in rete, altrimenti sarete influenzati.
Paolo Lardera – Blackbeard Guitars
>>> Scopri i liutai italiani di EGB <<<
Aggiungi Commento