Era il 1984 quando un gruppo di esperti artigiani e impiegati della Gibson, nel momento in cui la casa americana spostava la sua produzione a Nashville, decideva di rimanere nella sede storica di Kalamazoo, acquistando di tasca propria alcuni dei macchinari preesistenti allo scopo di continuare una tradizione iniziata dal fondatore a fine ‘800 e che prosegue ancora oggi nello stesso luogo.
Gibson Les Paul Standard (a sinistra) e Heritage H-150
Un accordo verbale del 1991, arrivato dopo un inizio non troppo facile, confermava di fatto una situazione di non-belligeranza in cui la Gibson permetteva a Heritage di produrre chitarre che differivano dalle loro quasi solo per il marchio e la forma della paletta.
Una trentina d’anni più tardi, dopo la crisi che aveva portato Gibson a due passi dalla bancarotta e il salvataggio da parte di nuovi agguerriti proprietari, le cose sono cambiate in maniera radicale sull’onda di una serie di azioni legali promosse da Gibson contro marchi concorrenti ritenuti sleali o non rispettosi dei copyright.
Secondo Heritage la casa madre negli ultimi due anni avrebbe portato avanti una “campagna di molestie” allo scopo di spingerli a interrompere la produzione.
Siamo rimasti sorpresi – affermano – quando abbiamo iniziato a ricevere minacce e reclami pretestuosi dal nuovo management Gibson, privi di coerenza con l’accordo originario. Abbiamo risposto prontamente e amichevolmente, nonostante minacciassero di schiacciarci con il loro peso legale in caso di opposizione.
Gibson ES-335 Dot Reissue (a sin.) – Heritage H-530
Da qui l’azione di richiedere ufficialmente al Tribunale Distrettuale del Michigan di fermare la campagna della Gibson una volta per tutte, rilasciando una sentenza definitiva che garantisca il diritto di Heritage di “continuare a lavorare pacificamente come è avvenuto dal 1991 fino a oggi”.
La risposta di Gibson non si è fatta aspettare e si appoggia ai cambiamenti che sarebbero avvenuti nella produzione Heritage dopo la recente acquisizione della maggioranza delle quote da parte di BandLab, società con base a Singapore proprietaria di Guitar.com e Guitar Magazine, nonché distributore dei vari brand Gibson nel sud-est asiatico.
Si legge nel comunicato: Di recente Heritage ha lanciato nuove chitarre che non rispettano il contratto originale. Diversi clienti hanno iniziato a chiedere se non siano in realtà delle Gibson. Heritage si è presa anche la libertà di di usare sul proprio sito web un linguaggio fuorviante e ambiguo che ha aggiunto altra confusione.
Nella versione di Gibson, contatti sarebbero stati presi con Heritage per ricordar loro il contratto originale, con intenzioni costruttive e amichevoli, specificando inoltre che Gibson “non ha citato Heritage ma anzi si è data da fare per trovare una soluzione.”
Molto chiara la fine del comunicato: Gibson non accetterà che Heritage Guitars – proprietà di BandLab in società con altri imprenditori – possa riscrivere la storia di Gibson o rompere spudoratamente un contratto stipulato in buona fede.
Al momento molte cose sono ancora da chiarire, ad esempio quali sarebbero le “nuove chitarre” che non piacciono alla Gibson, ed è sempre molto difficile entrare nel merito di accordi verbali e rapporti finanziari così complessi.
È comprensibile come Gibson, nel momento in cui rivendica il successo della propria rinascita, trovi difficile accettare che ci sia ancora qualcuno che da vari decenni si propone come alfiere della qualità e della tradizione del marchio.
D’altronde, gli odierni legami commerciali di Heritage non sono più così semplici ed è facile offrire il fianco alle accuse di un colosso in grado di ruggire molto forte.
Ancora una volta, aspettiamo le prossime puntate per scoprire come andrà a finire, sperando che nessuno ci rimetta… le penne.
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