Cari Musicoffili, in questo nuovo appuntamento concentriamo la nostra attenzione su uno strumento dalle mille sfaccettature e quindi dalla mille possibilità di registrazione: la chitarra elettrica.
Lo strumento in sé presenta una complicazione fondamentale dovuta al fatto che il suono della chitarra elettrica è, nella maggior parte dei casi, il suono di un sistema sonoro. Questo complesso sistema è frutto della interazione tra lo strumento e l’amplificatore.
Come sempre proviamo a stabilire i parametri di base dello strumento. La chitarra elettrica è uno strumento che si posiziona nel registro basso, a dispetto del fatto che sullo spartito si scrive in chiave di violino. Infatti è uno strumento traspositore e le note suonano una ottava sotto a quelle scritte.
Quindi le note hanno come fondamentali le frequenze che vanno dagli 82.41 Herz del MI2 basso ai 1318.51 Hz del MI6, nel caso di un manico a 24 tasti.
Considerando però un range medio di utilizzo arriviamo al MI5 con una frequenza di 659.26 Hz. La frequenza che potremmo chiamare centrale di questo range è 250 Hz che è un buon punto di partenza per cercare il corpo dello strumento. Provate a dare qualche dB a questa frequenza con un Q ampio e vedrete come lo strumento acquista autorevolezza. Un buon punto per provare a sottrarre qualche dB è di conseguenza la zona dei 500 Hz. Un buon bilanciamento tra questi due punti ci darà uno strumento molto ben definito.
La terza frequenza che vi consiglio come punto di intervento, generico ovviamente poiché va fatto un lavoro specifico ogni volta, è la zona con un centro a 1250 Hz. Se cercate il “bite” del suono lo troverete tra i 4000 e i 5000 Hz. Attenzione che è la zona dove la chitarra elettrica spesso entra in conflitto con le voci e un eccesso in questa zona tende a mascherare la voce.
Vorrei anche notare che in congiunzione con l’amplificatore alcune zone si rinforzano moltissimo e può essere necessario fare attenzione alla combinazione chitarra/amplificatore.
La chitarra elettrica è dotata di trasduttori magnetici, i pickup, che hanno a loro volta timbriche ben definite e molto varie. Come al solito cercherò di fare una semplificazione andando alla radice dei vari tipi e creando dei generici riferimenti da cui partire.
Per iniziare esistono due grandi famiglie di pick-up: Humbucker e Single Coil. I primi sono progettati per respingere le interferenze utilizzando due avvolgimenti. Il sistema funziona bene ma la controfase tra i due pickup comporta delle cancellazioni di frequenze che rendono nasale e spesso scuro il suono. Al contrario invece i Single Coil hanno un suono molto aperto e esteso in frequenza, ma sono spesso delle vere e proprie antenne che captano i ronzii più improbabili.
Nella mia semplificazione esistono tre modelli capostipite del suono della chitarra elettrica: Gibson, Fender Telecaster, Fender Stratocaster. Possiamo dire che ogni suono di chitarra è una derivazione di una di queste tre famiglie di base.
Le Gibson sono per la maggior parte dei modelli basati su pickup hambucker. Le Fender e derivati su modelli Single Coil.
La famiglia delle Telecaster (e derivati) ha un suono molto aperto, brillante e incisivo, spesso “twangy” anche dovuto al particolare circuito implementato sullo strumento.
La Fender Stratocaster (e derivati) ha un suono sempre aperto ma con un poco di medie in più e un colore particolare forse dovuto alla piccola cassa di risonanza dell’alloggio dei pickup e del montaggio degli stessi su un foglio di materiale sottile che certamente, per contatto, colora il suono dei magneti, che nel caso della Stratocaster sono tre.
Nella Gibson e nella Telecaster in generale essi sono due, posizionati alla fine del manico e vicino al ponte.
Ovviamente nel tempo ci sono stati innumerevoli variazioni di sfumature sia nel suono che nelle forme, ma questa semplificazione è utile al nostro discorso.
Ora è bene sapere che nella maggior parte dei casi i pickup sono passivi, con un’uscita debole e di impedenza molto alta. Non chiedetemi perché ma è un mistero ancora tutto da spiegare. Questo ci dice che il segnale è deboluccio e viaggia male su linee lunghe. Un cavo jack di buona qualità ha sempre un impatto positivo sul suono che arriva all’amplificatore. Sono soldi ben spesi.
Quindi siamo arrivati agli amplificatori. Cominciamo anche qui la nostra semplificazione: due grandi famiglie si contendono i favori dei chitarristi. Gli amplificatori valvolari e quelli a transistor. Non c’è chitarrista che non scelga quelli valvolari per il suo suono. Infatti le tre grandi tipologie da cui tutto deriva io le semplifico così: Fender, Marshall e Vox.
Volendo fare una descrizione semplice di ogni tipologia direi che i Fender sono più “Hi-Fi”, con un attacco sempre molto preciso. I Marshall sono vincenti in termini di potenza ma per ottenere questo sacrificano la timbrica rendendola un po’ più chiusa. I Vox assomigliano ai Fender, ma con più carattere e degli inconfondibili alti cristallini che lo rendono inimitabile.
Tutti e tre sono valvolari e pochi amplificatori a transistor possono competere con la rotondità e la dinamica di questi tre capostipiti. Ovviamente l’evoluzione della specie ci ha regalato infinite variazioni sul tema dei tre modelli, ma la semplificazione regge ancora.
E così arriviamo alle casse che trasformano in pressione sonora tutti questi Watt che gli amplificatori emettono. Anche qui ne abbiamo di tutte le forme e dimensioni.
Consideriamo per il nostro intento la classica cassa chiusa con un solo speaker, la cassa aperta con due coni gemelli (come nei Fender e Vox) e la tipica configurazione a quattro coni tipica dei Marshall. In genere la dimensione dei coni preferita è da 12″. Se cerchiamo un suono preciso e definito orientiamoci verso il singolo cono, perfetto per il Jazz.
L’interazione tra i due coni fa del doppio 12″ un classico dei Fender e Vox. Se la cassa (o amp combo) è aperta dietro ci regala una diffusione che riempie lo spazio sonoro. In caso di cassa chiusa, i due coni sono più precisi sulle basse. A voi il piacere di identificare i suoni classici dei vari modelli e speaker.
Ora passiamo alla microfonazione. Qui le cose si fanno difficili da semplificare ma ci proveremo lo stesso.
Quelli di voi che mi leggono spesso sanno che non amo utilizzare molti microfoni sullo stesso strumento. Il mio motto è infatti: più microfoni, più problemi. Tuttavia per le chitarre faccio una eccezione e ne uso ben due. A volte anche tre o quattro. Incredibile, vero?
Per ragioni di spazio non potrò proporre tutte le possibili opzioni che abbiamo a disposizione e così mi limiterò a proporne alcune che sono le più facili da usare bene.
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- Prima opzione. Con due microfoni: proviamo a usare un SM57 Shure e un MD421 Sennheiser, Posizionati su due differenti coni (tranne ovviamente nel caso di quello a cono singolo). Posizionate i microfoni al centro esatto del cono per avere la massima quantità di alte. Andate verso l’esterno del cono per averne di meno e un suono più morbido. Provate a microfonare il bordo del cono. A volte in quel punto, proprio dove il cono è corrugato, si trovano dei suoni interessanti. La distanza di partenza che consiglio è di due dita dalla griglia.
Preferibilmente usate dei preamplificatori a transistor, in classe A, con trasformatori in ingresso e uscita. I miei preferiti sono Neve 1073, ma tutto può andare bene con una buona risposta ai transienti. Vi consiglio di combinare i due microfoni in una sola traccia così da non perdere il suono in fasi successive. Per essere sicuri di avere i due microfoni allo stesso volume potete temporaneamente invertire la polarità di uno dei due e regolare il gain fino al massimo annullamento del suono. Poi ricordatevi di rimettere la polarità a posto.
Potete provare a sostituire il 421 con un microfono a condensatore, magari un AKG 414 con il pad a -10 inserito.
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- Seconda opzione. Valida con gli amplificatori Fender Twin in particolar modo: con un microfono a condensatore u87 oppure u89 posizionato al centro tra i due coni, a circa 30 centimetri dalla griglia. Per avere un buon effetto della interazione tra i due coni e una morbidezza interessante. Vi consiglio di poggiare l’amplificatore su una sedia o uno sgabello per allontanarlo dal pavimento e evitare così il comb filter dovuto ai rimbalzi del suono sul parquet.
- Terza opzione. Utilizzo di un microfono a nastro davanti a uno dei coni. Suono molto ricco, con medie morbide e setose, perfetto per avere la chitarra in secondo piano, avvolgente ma presente.
- Quarta opzione. Qui si entra nel campo della sperimentazione. Con gli amplificatori Fender è spesso interessante aggiungere un microfono che cattura la parte posteriore dell’ampli, ricchissima di basse. È importante verificare la polarità con gli altri microfoni. Distanza circa 30 centimetri, a un metro da terra. Muovere il microfono ascoltando l’interazione con gli altri.
- Quinta opzione. Provate ad aggiungere un microfono di ambiente a circa 10 metri dall’ampli, se lo studio lo consente. Posizionate nel panorama stereo questo microfono dalla parte opposta dei microfoni originali. Questo particolare suono che sfrutta l’effetto Haas ci darà una grande spazialità senza dover aggiungere riverberi, che spesso non funzionano bene con le chitarre.
Per me questi sono i punti di partenza. Ma ovviamente ce ne sono molti altri che potete tranquillamente inventare da soli o osservare la tanta letteratura disponibile in rete. Considerate però queste regole di base: la chitarra va posizionata leggermente o totalmente da un lato. Si può “doppiare” posizionandone una copia risuonata, quindi leggermente differente nella esecuzione, dal lato opposto. Così si ottiene una stereofonia molto suggestiva e mono compatibile.
Un ultimo consiglio: perdete un poco di tempo a ripulire la zona delle basse frequenze sotto i 100 Hz che in molti casi fanno suonare le chitarre benissimo da sole ma poi insieme al resto degli strumenti rendono tutto incomprensibile e “muddy“. Lasciate quella zona di frequenze alla cassa della batteria e alle fondamentali del basso elettrico.
La prossima volta parleremo della distorsione e dell’uso dei virtual amp che sono spesso degli ottimi sostituti, specialmente se i vicini sono poco propensi ad ascoltare il vostro Marshall “a palla”.
Vi saluto consigliandovi un piccolo esperimento. Procuratevi un piccolo ampli Marshall da 1 Watt, quelle piccole repliche dello stack a 4 coni. Posizionate un SM57 proprio a contatto con la griglia. Mettete tutti i controlli del mini-amp a massimo e provate a registrare dei power chords con questo setup.
Poi ditemi cosa ne pensate!
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