Allacciate le cinture, perché se i miei calcoli sono esatti, quando questo aggeggio toccherà le 88 miglia orarie ne vedremo delle belle (cit. Back to the Future). Il 1969 è un anno diverso: i Beatles tengono il loro ultimo concerto sul tetto della Apple, esce “Led Zeppelin I” e gli Who pubblicano “Tommy”. Nelle sale cinematografiche escono “Satyricon” di Fellini e “Easy Rider” di Hopper, Dario Fo gira l’Italia con “Mistero Buffo”, proprio mentre il nostro paese è scosso dalla disastrosa serie di bombe tra cui quella di Piazza Fontana. Ho Chi Min muore in Settembre e poco prima anche Brian Jones degli Stones si spegne originando tanto mito quanto mistero; a Bethel si tiene il festival di Woodstock, Neil Armstrong e Buzz Aldrin sono i primi uomini a mettere piede sulla superficie lunare.Nello stesso anno, partorito dalla mente di Mike Matthews, viene commercializzato il primo Big Muff, definito ai tempi, il miglior distortion-sustainer mai sviluppato. A fine anni ’60 nell’effettistica per chitarra erano senza dubbio i fuzz ad avere il predominio, il Fuzz Face in particolare; l’arrivo del Big Muff portò però una ventata d’aria nuova e un po’ di sana competizione. Fin dal suo arrivo s’impose prepotentemente, anche perché fu il primo pedale a poter garantire un ammontare di gain considerevole ed altrettanto sustain, ma più di ogni altra cosa a colpire fu la sua enorme differenza dalle timbriche sonore del tempo.
Il Muff permetteva di passare da una distorsione pesante e ricca di basse fino all’opposto contrario. La particolare miscela di fuzz e distorsione scosse prepotentemente gli animi di molti chitarristi, davanti ai cui occhi si apriva tutto un nuovo mondo di possibilità.
Gli anni ’60 nel mondo chitarristico sappiamo essere cosparsi di grandi personaggi, rimasti poi baluardi insormontabili, alla ricerca di determinati suoni; inevitabilmente anche la storia del Big Muff si intreccia con diversi grandi nomi fra i quali figura anche Jimi Hendrix. Sempre associato a pedali come il Fuzz Face, non tutti sanno che Hendrix, quando ancora suonava sotto il suo nome originale di Jimmy James, fu decisivo per la nascita del Big Muff. Malgrado gli studi universitari, Matthews non abbandonò mai l’orbita dell’ambiente musicale e continuò a collaborare con diversi musicisti anche abbastanza famosi. L’incontro con Hendrix fu determinante per la timbrica verso cui virò il progetto di Matthews, il quale rapito dalle sonorità e dallo stile del chitarrista, gli sottopose alcuni prototipi del Muff.
La relazione di Hendrix con il Big Muff è però da sempre avvolta in un manto di leggenda: voci di corridoio dicono che nell’album Electric Ladyland, Jimi abbia utilizzato il Muff per registrare alcune parti, ma le date di uscita del disco e del pedale non sembrano coincidere per poter confermare tali affermazioni. L’ipotesi che quelli utilizzati da Hendrix fossero solamente prototipi del Muff rimane una versione più attendibile.
Nel 1967, mentre i Pink Floyd registrano i demo di “Arnold Layne” e Ceausescu prende il potere in Romania, Matthews, laureatosi alla Cornell University, inizia a lavorare per il reparto vendite della IBM, alimentando parallelamente la propria passione per la musica.
È proprio in questo momento che entra in gioco la Guild, famosa casa costruttrice di chitarre dal 1953, la quale affidò a Matthews la costruzione di un pedale a due transistor chiamato “Foxey Lady”.
Nel 1968 Matthews fondò a sue spese la Electro Harmonix con sede a New York e nell’Ottobre dello stesso anno il “Foxey Lady” era già arrivato alla terza edizione.
I predecessori del Muff a nome Electro Harmonix fanno la prima comparsa nella nostra storia. Al giorno d’oggi sono pedali molto rari, si parla di circa 3000 esemplari prodotti, i quali raggiungono quotazioni davvero molto alte. Il Foxey Lady e l’Axis, quest’ultimo versione modificata del Foxey, sono però solamente gli antenati del vero e proprio Big Muff, la cui nascita fa ormai capolino nella nostra storia.
Finalmente infatti, come abbiamo già detto, nel 1969 la Electro Harmonix immette sul mercato il primo e blasonato Big Muff, divenuto famoso come “Triangle” Big Muff.Capostipite dell’albero genealogico, disegnato da Robert Myer e Matthews, il suono del Triangle, nome dato dalla disposizione a triangolo dei knobs, è definito dai puristi come il migliore fra tutti.
Schiere di accaniti appassionati combattono da anni una guerra per il miglior muff, contrapponendo il “Triangle” e il suo diretto successore “Ram’s Head” in un conflitto che difficilmente troverà mai una conclusione. Pareri personali a parte il Triangle incarna per molti aspetti il suono Muff allo stato della purezza originaria. Suono che verrà nelle versioni a venire modificato, anche pesantemente. Andando a ricercare i caratteri distintivi della sonorità Triangle possiamo trovare due peculiarità fondamentali: frequenze medie molto scavate ed un’incredibile intellegibilità delle note.
L’equalizzazione a discapito delle medie frequenze è una di quelle peculiarità che ha consentito al Triangle Muff di avere quel suono acido e graffiante e “bucamix” che l’ha reso famoso. Chiarezza e definizione del suono, soprattutto suonando accordi pieni e non linee melodiche di singole note, sono proprietà di cui poche versioni del Big Muff godono.
Nell’analisi, ma soprattutto nell’acquisto di un Triangle, come anche di altri Muff della prima era, bisogna tener conto di una problematica importante. Ai tempi, alla Electro Harmonix, i componenti di produzione non erano sempre accuratamente controllati, motivo per cui si possono facilmente trovare esemplari di Triangle con diverse sfumature sonore.
Tale diversità ha avuto forti conseguenze sulla valutazione e quotazione dell’usato, il Triangle è infatti il modello con cui più si “rischia” di spendere cifre anche molto alte per poi non avere esattamente il suono desiderato. Lo scadente controllo di qualità dell’epoca rende quindi necessaria attualmente, molto più che in altre occasioni, una prova del pedale per evitare di incappare in versioni non corrispondenti alle aspettative.
Come per tutti i Muff di maggior successo ci sono diverse riproposizioni moderne, “boutique” e non, ma anche negli anni Settanta vi furono pedali di piena derivazione Triangle come ad esempio il Jordan Creator del 1971 o il Supa ToneBender della Sola Sound del 1973.
Le quotazioni purtroppo sono difficili da stabilire con estrema precisione ma per il mercato europeo si aggirano in media attorno ai 600 euro. Sulla nostra strada l’orologio punta ora la lancetta al 1973, proprio mentre Elvis Presley dalle Hawaii celebra il primo concerto mai trasmesso in televisione e tredici giorni dopo si conclude definitivamente la Guerra in Vietnam con gli accordi di Parigi…
Francesco Sicheri
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