L’effetto per chitarra più bello di sempre? Che domande, la distorsione! Senza di essa non avremmo il Rock ma… la prima idea di chiuderla in un pedale venne da un disco country!
Cos’è, o meglio, cos’era la distorsione in musica prima dell’epoca del rock’n’roll, prima della diffusione massiva dei dischi in vinile e della musica giovanile della nuova generazione degli anni ’60?
Beh, in buona sostanza, un errore. In generale, il clipping del segnale era interpretato come rumore e la chitarra, nonostante avesse già compiuto il passo da strumento acustico a elettrico, fondamentalmente era interpretata come un suono pulito, di accompagnamento nella maggior parte dei casi, ma comunque mai distorta neanche su eventuali fraseggi.
Nel 1949 viene incisa la prima chitarra lievemente distorta, è quella di Goree Carter in “Rock Awhile“, considerata peraltro come la prima canzone Rock’n’Roll della storia. Si tratta di un suono in overdrive, quella linea di confine quando l’amplificatore è messo in crisi e l’onda sinusoidale del segnale inizia a incresparsi e a distorcere.
Qualche anno più tardi sarà Chuck Berry a fare lo stesso (tra l’altro, il riff iniziale parla da solo!).
Poi arriva, nel 1951, il brano “Rocket 88” di Jackie Brenston, accompagnato dai Delta Cats, in pratica la sezione ritmica della band di Ike Turner (nella quale lo stesso Brenston militava come sassofonista), in cui c’è il chitarrista Willie Kizart.
Leggenda vuole che il suo amplificatore si fosse danneggiato nel viaggio verso lo studio di registrazione (c’è chi parla di cono rotto e chi di una valvola fuori uso) e il tentativo di ripararlo non andò a buon fine. Difatti in quella canzone la chitarra ha un suono piuttosto “imballato” e distorto (oggi potremmo chiamarlo “fuzz”, per l’assonanza dello stile timbrico).
Ed eccola qui:
Lo stesso anno è di scena negli studi della Chess Records di Memphis il bluesman Chester Burnett, meglio conosciuto come Howlin’ Wolf, che tra voce e chitarra elettrica tira fuori gli artigli come mai si era sentito fino ad allora. Nel suo brano “How Many More Years” la chitarra di Willie Johnson è decisamente graffiante.
Nel 1956 la “Train Kept A-Rollin” di Tiny Bradshaw (1951) viene ripresa dal Johnny Burnette Trio, con l’incisione di una chitarra in “crunch”, diremmo oggi. La canzone è famosa perché verrà poi ripresa dagli Yardbirds, Jeff Beck, Led Zeppelin e molti altri.
E non sarà da meno il già citato Chuck Berry un anno dopo (il primo album è del 1957), anch’egli della scuderia della Chess.
Nel 1958 viene pubblicata la canzone strumentale “Rumble” di Link Wray, che chiunque di voi ha sentito in colonne sonore come quella del celebre Pulp Fiction di Quentin Tarantino.
Qui il suono della chitarra si fa più decisamente aggressivo rispetto a quanto ascoltato in precedenza. Jimmy Page ha più volte dichiarato che questo suono è stato per lui di fondamentale importanza (non è un caso probabilmente che anche Page imbracci spesso una Danelectro, suonata dallo stesso Wray).
Pur tuttavia, tolti questi casi (e altri isolati e rari che sicuramente qualcuno potrebbe aggiungere), a nessuno viene in mente di prendere quel suono e chiuderlo in un vero e proprio effetto da applicare alla chitarra.
Bisogna arrivare al 1960 e addirittura a una registrazione country e, ovvio, a un altro fortuito errore in sala di registrazione.
Siamo in uno studio di Nashville e l’artista country Marty Robbins sta per incidere il suo singolo “Don’t Worry“. Si tratta di una classica ballata del genere, con il classico stile di canto suadente dei singer dell’epoca.
In questo caso il chitarrista Grady Martin ha la sfortuna di incontrare sul suo cammino un canale difettoso nelle apparecchiature (mixer preamp), talmente difettoso che oggi, senza saperlo, potremmo davvero pensare a una distorsione volontaria (e in un certo senso, sembra quasi un intervento “ironico” in un brano dal mood così sentimentale…).
Ecco la canzone, il suono “incriminato” vi risulterà facilissimo da identificare al minuto 1.20:
Stavolta però il suono non passa inosservato, anche perché qui stiamo ascoltando un vero e proprio assolo ben alto di volume.
Questa timbrica così particolare piace, soprattutto a Glenn Snoddy, un ingegnere del suono che lavora nello studio. Ed ecco la sua idea, cercare di chiudere quel suono in una scatoletta di metallo da tenere ai piedi del chitarrista, così da poter inserire quel tipo di distorsione in un determinato momento.
Anzi, a dirla tutta da queste premesse l’obiettivo diventa ancor più grande…
Tramite un amico che lavora presso la Gibson nella storica fabbrica di Kalamazoo in Michigan, la sua invenzione viene messa in produzione: nel 1962 nasce il Gibson Maestro Fuzz-Tone.
Il termine Fuzz in lingua anglosassone ha vari significati, il primo è quello di una materia piuttosto fibrosa o di una peluria come quella sulla buccia di alcuni frutti o altro. Anche un taglio di capelli molto corto, stile militare.
Insomma, ricordandovi la sensazione al tatto di quanto suddetto come esempio, pensiamo che sarà facile collegare il tutto al suono tipico di un fuzz.
Come dicevamo, la campagna pubblicitaria di questo effetto supera le più audaci fantasie, poiché viene descritto come un sistema per ottenere dalla propria chitarra suoni di violino, tromba, banjo e così via.
Vengono stampati dei dischi in vinile dimostrativi in cui le tracce fanno appunto ascoltare come sia possibile questa primitiva forma di simulazione.
Eccolo qui sotto, introdotto dalla classica voce da annunciatore americano dell’epoca che esclama: “It’s mellow, it’s raucous, it’s tender, it’s raw, it’s the Maestro Fuzz Tone!!”
A questo punto sarrebbe lecito aspettarsi una vera e propria rivoluzione, visto anche che la chitarra elettrica è lo strumento che sta diventando il più diffuso e ambito tra i giovani.
Niente di più mal calcolato, siamo di fronte a un fallimento pressoché totale!
Ne vengono prodotti qualche migliaio per i negozi nel ’62 ma praticamente non li compra nessuno. Addirittura nel ’63 ne sono spediti una quantità che si può contare sulle dita di una mano. Nel ’64… di due mani.
Ma ecco che la dea bendata ancora una volta ci mette lo zampino…
Siamo in Inghilterra, è il 1965, una band di giovanissimi scalmanati inizia a far impazzire il pubblico e a competere con i baronetti di Liverpool.
Il nome della band è The Rolling Stones e alla chitarra c’è “un certo” Keith Richards, da sempre appassionato di Blues e Rock’n’Roll e in generale della musica americana.
Ebbene, gli Stones sono in studio, stanno registrando un nuovo singolo e per il riff principale avrebbero bisogno di un trombettista. Purtroppo non c’è nessuno nella band, neanche il poliedrico Brian Jones, che sia in grado di suonare quella parte e si deve fare alla svelta.
Ed ecco capitare tra le mani, anzi, tra i piedi del buon Richards, il Maestro Fuzz-Tone, il cui suono ricorda abbastanza da vicino proprio quello di una tromba (alla fine quel vinile demo non aveva tutti i torti!).
Viene quindi inciso così il singolo. Si intitola “I Can’t Get No Satisfaction” e rivoluziona per sempre il mondo del nascente Rock, ancora più di quanto avessero potuto fare l’anno precedente i Kinks con la loro “You Really Got Me” e la distorsione della chitarra ottenuta con gli speaker tagliati con la lama di un rasoio.
La cosa un po’ ironica è che il singolo degli Stones viene lanciato in fretta quasi a insaputa della stessa band e quando Richards lo sente per radio pare che abbia addirittura paura che quel suono sia troppo estremo (ricordiamoci che si parla del ’65!).
Per fortuna non ha avuto questi pensieri prima del lancio, altrimenti chissà…
Da quel momento in poi tutti vogliono un pedale distorsore.
Il Maestro Fuzz-Tone ha un suono però piuttosto scarno e si cerca maggiore sustain e presenza di basse frequenze. Il circuito viene quindi modificato da un tecnico, Gary Hurst, che dà vita al Tone Bender, che sarà commercializzato sotto vari marchi (più famoso il Vox) nelle varie versioni (MKI, II, III ecc.).
È il suono di Jimmy Page, Jeff Beck e molti altri.
Poco più avanti, dal circuito del Tone Bender vedrà la luce il Fuzz Face della Arbiter Electronics Ltd, reso famoso da Jimi Hendrix.
Beh, il resto come sapete, è storia!
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