Concludiamo il test dell’H9 con una collezione di suoni che deve essere sempre presente nel rig di ogni chitarrista che si rispetti, cioé modulazioni e pitch shifting.
Con il termine modulazione molto spesso si intende una modifica della forma d’onda del nostro segnale, la quale, in base ai diversi risultati che si vogliono ottenere, subisce una o più operazioni attraverso ritardi, oscillatori, alterazioni/cancellazioni di frequenze, variazioni di fase ecc.
Esempio molto semplice e anche di uso estremamente comune è quello del chorus, che unisce al segnale di ingresso, totalmente dry, una o più voci supplementari da esso ricavate mediante l’utilizzo di linee di ritardo che possono essere analogiche o digitali, a seconda dei casi.
Il tempo di ritardo viene generalmente modulato con un oscillatore a bassa frequenza (definito in termini più tecnici come Low Filter Oscillator o LFO); in tal modo viene gradatamente alzata e abbassata l’intonazione del segnale (si è provocato un effetto Doppler) e si generano leggerissime differenze di fase.
Nell’H9 noi troviamo tutto il parco suoni del Modfactor, macchina conosciutissima di Eventide insieme agli altri che abbiamo precedentemente nominato durante le scorse puntate, più precisamente abbiamo:
- Chorus
- Phaser
- Q-Wah
- Flanger
- ModFilter
- Rotary
- TremoloPan
- Vibrato
- Undulator
- RingMod
Tutti questi algoritmi permettono di coprire qualsiasi richiesta possibile in termini di modulazioni grazie alle grandi possibilità di personalizzazione.
Il fulcro però di questa categoria di suoni è leggermente diverso da quello che abbiamo visto per esempio nell’ambito dei delay e dei riverberi, perché il “grit” tipico delle macchine vintage in questo caso è molto minore, a favore però di una nitidezza di suono e di un’intelligibilità superiore a quella che possiamo trovare in ambito analogico.
Precisiamo tuttavia che tutto ciò va a discostarsi in maniera netta dal discorso del “suona digitale” detto in maniera non proprio positiva: la differenza sostanziale sta nella mancanza di un fruscio di fondo, di una loudness diversa, non stiamo affatto parlando di un suono piatto o privo di dinamica (discorso oltretutto che con l’evoluzione del digitale odierna suona oramai anacronistico).
Passando oltre, abbiamo un altro dei cavalli di battaglia di Eventide, il pitch shifter. Uno di quegli effetti che risulta difficile da gestire, ma che ha sempre fatto parte del rig dei musicisti più famosi del mondo, esempio storico è quello dell’H3000 utilizzato sia in studio che in live e che poi si è racchiuso nel Pitchfactor in formato pedale.
Parlare del pitch shifter è abbastanza complesso, è uno di quegli effetti che senti sempre nei dischi e che quando lo suoni per la prima volta, ti sembra di suonare qualcosa di fantascientifico e in alcuni casi di estremamente strano e ben poco applicabile.
Il punto più importante di questa tipologia di suoni, almeno secondo la logica progettuale di Eventide, è quella di restituire un suono che riesca a essere quanto più musicale possibile all’orecchio, facendo in modo che la sensazione di spostamento dell’intonazione (appunto pitch shifting) sia quanto più naturale possibile.
Dal Pitchfactor, l’H9 eredita i seguenti algoritmi:
- Crystals
- H910/H949
- Diatonic
- MicroPitch
- Quadravox
- PitchFlex
- Octaver
- Harpeggiator
- Synthonizer
- Harmodulator
Tutti questi algoritmi restituiscono diverse tipologie di effetto, restituendo un suono molto gradevole e senza dare una qualche sensazione di “artificioso”. Le sfumature ottenibili danno il meglio di sé durante le parti solistiche, permettendo di dare una sensazione di “wall of sound”.
Alessio Erriu dei Novembre ci farà sentire qualche esempio suonato, utilizzando la seguente catena audio:
Chitarra Andrea Palmas -> Pickup Zead -> Reference ultimo cavo -> Mezzabarba Skill -> Reference ric 01 -> Eventide nella mandata effetti -> Two Notes Torpedo Captor 16 -> Reference Rmc01 -> Audient id22
Conclusioni
Il reparto modulazioni è tra quelli necessari per un chitarrista e, a parte qualche eccezione che può sempre avvenire, si utilizza un suono con una modulazione alla volta. Come ben sappiamo un H9 core (con un algoritmo) ha un costo unitario di circa 400 euro, non sono certo bruscolini, ma andiamo con ordine.
Comprare singolarmente una soluzione professionale composta da tre o quattro pedali di modulazione ha un costo abbastanza importante, se contiamo che un pedale di qualità viene a costare circa 200 euro utilizzando lo stesso metro di paragone se noi volessimo acquistare Chorus, Tremolo, Phaser e Flanger la spesa totale sarebbe vicina ai 700 o agli 800 euro.
Nel nostro caso invece possiamo decidere di acquistare l’H9 core e altri tre algoritmi, spendendo 400 euro per l’hardware e 20 euro per ogni algoritmo aggiuntivo, facendo arrivare la spesa a circa 460 euro, risparmiando in termini di peso, trasporti, alimentazioni e collegamenti una cifra ben oltre i 250 euro.
L’H9 può essere un multieffetto paradossalmente “economico” che vi permette di avere il controllo digitale del MIDI, tutte le possibilità di settaggio degli algoritmi, la qualità del suono di Eventide, al prezzo di un paio di pedalini professionali, una cosa da tenere in considerazione nella lista della spesa.
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