Uno dei primi algoritmi che troviamo sull’Eventide Timefactor (o un H9) è quello del delay digitale, per alcuni un aggettivo sinonimo di “freddo e analitico”, ma non è affatto sempre così.
Quando si inserisce la parola “digitale”, molti tendono a storcere un po’ il naso, poiché sinonimo di un suono troppo “piatto” o in alcuni casi di estremamente cristallino.
Cerchiamo di non vedere tutto bianco o nero, e cerchiamo di comprendere se esistono delle vie di mezzo.
Molto spesso un delay molto preciso diventa necessario per taluni generi musicali, per poter avere un suono in coda che segua la ritmica del brano, anche se non sempre è questa l’unica motivazione.
Volendo prendere in esame uno dei grandissimi della chitarra, David Gilmour, per alcuni anche un riferimento di suono analogico per eccellenza, lui stesso ha usato un MXR Digital Delay nel tour di The Wall del 1980.
Un altro esempio tipico è quello di The Edge, un musicista che del delay ha fatto la storia, facendolo passare da semplice effetto a vero e proprio strumento creativo. Il chitarrista degli U2 utilizza ancora oggi un Korg SDD 3000 e un TC Electronics 2290, entrambi digitali di altissimo livello.
L’algoritmo Digital Delay del Timefactor ha l’intenzione di restituire il suono dei primi delay digitali in formato stompbox (e in buona parte anche in formato rack, insieme al suo algoritmo ModDelay), con però un comportamento molto più “flat” rispetto per esempio a un Boss DD2 (volendo citare un altro nome storico nel mondo dell’ effettistica).
Prendendo con le dovute pinze tutte le definizioni ben poco oggettive (come quando diciamo “suono caldo”) cerchiamo di capire fino a dove vuole spingersi il suono di questo tipo di algoritmo.
Anche solo mettendo entrambi il delay a zero, possiamo notare comunque che qualcosa nel nostro suono è leggermente cambiato, le frequenze basse sono un pelo più pronunciate, mentre le alte quasi non vengono toccate e si può avvertire un leggero aumento dello “spessore” dell’intera timbrica.
Ogni algoritmo è in realtà un doppio delay miscelabile sia tra dry & wet che tra delay A & B: cominciando a utilizzare solo un delay per volta, la sensazione è molto vicina ai suoni anni ’80 e ‘9, il comportamento (anche con modulazione attiva) è a un passo tra il Digital Delay di Boss (risultando molto meno medioso) e il TC Electronics Nova Delay (ma con un filino più di basse e una modulazione più pronunciata), il tutto senza mettere in mezzo tantissimi altri delay con le loro sfumature e le loro timbriche, anche perché il paragone risulterebbe infinito e inutilmente lungo.
Le ripetizioni che ne scaturiscono sono cristalline, con un suono molto tridimensionale (sia con uno che con due delay attivi) e con una modulazione non invasiva e nemmeno acida, molto rotonda e morbida all’ascolto.
Per quanto riguarda invece il controllo gestito dalla Xknob, per il Digital Delay abbiamo un controllo denominato Crossfade: quando i tempi di ritardo subiscono una qualsivoglia variazione, per evitare che queste possano causare rumore o interruzioni nel segnale audio, il timefactor segue (appunto) un crossfade che noi possiamo regolare per averne uno più rapido (quando il valore è vicino allo zero) o più graduale (con valori tendenti verso il 100).
Ma quindi, per quali tipologie di utilizzo va bene questo specifico suono?
Per il mondo del pop e dei suoi derivati rimane una scelta ottimale per via della sua estrema precisione e della sua presenza sonora, la modulazione aggiunge ulteriore spessore al nostro suono e permette di coprire un ventaglio molto ampio di richieste sonore.
Ma questo non lo esclude da altri generi, dato che agisce in un modo non estremo sul nostro suono, è possibile anche usarlo per generi più “cattivi”, a partire dal rock anni 90-2000 fino a toccare generi del metal come il power o l’epic che vivono molto spesso di ballad con chitarre dai delay molto ampi e con modulazioni non troppo estreme.
Tranquilli, al Timefactor non mancano di certo suoni più vintage, sarà l’argomento della prossima puntata.
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