La newyorkese Tech21 è nota soprattutto per la tecnologia SansAmp di emulazione analogica, lanciata a fine anni ottanta prima di ogni vagito del futuro digital modeling. Il perfetto complemento per i vari pedali-preamp in catalogo o per quelli di qualunque altra marca è una cassa amplificata come il Power Engine 60 da noi testato.
L’aspetto è quello di un normale combo firmato Tech21, come nella nota serie Trademark, ma notiamo subito l’assenza di manopole nella parte superiore. La cassa è in robusto legno rivestito in tolex nero, con la classica griglia anteriore a coprire il cono da 12″, un Celestion Seventy/80 visibile attraverso l’ampia apertura posteriore. Il peso – 14 Kg – è accettabile, le dimensioni giuste.
I 60 watt di potenza RMS sono forniti da un finale solid-state fornito di una serie di regolazioni sul pannello posteriore: Level, High, Mid, Low.
Due i tipi di ingresso, ¼” e XLR, accanto a un output XLR. Non manca un pulsante di ground lift per intervenire in caso di rumori di “massa”.
Con un’impedenza d’ingresso di 10kOhm Power Engine 60 si presta a una larga scala di accoppiamenti e quello primario riguarda l’utilizzo di preamplificatori esterni, ormai largamente presenti sul mercato in ogni formato.
Nessuno vieta, d’altronde, di sfruttarlo per ampliare un set preesistente collegandolo a un combo o per utilizzare stereofonicamente apparecchi compatibili.
Abbiamo provato il compatto cabinet con varie chitarre e diversi tipi di oggetti, verificando innanzitutto la praticità dei controlli che permettono di adattare EQ e volume all’ambiente specifico, con possibilità di mantenere quanto possibile intatti i setting del preamplificatore anche al momento di cambiare stanza o palco.
Lo speaker Celestion restituisce un suono compatibile con le aspettative, non per niente è un classico. La resa sui bassi è buona, il suono è sufficientemente twangy con la chitarra giusta, la potenza non è affatto poca e Power Engine 60 riesce a valorizzare anche il suono corposo di un humbucker in overdrive.
Il carattere del suono, ovviamente, cambia in maniera radicale a seconda del circuito interposto fra strumento e cassa, riservando piacevoli sorprese con pedali-preamp dal basso profilo ma molto efficaci nei fatti.
Con una semplice DI è possibile anche andare in diretta per sperimentare il sound “nudo” della chitarra, a volte insospettabilmente appetibile, come anche provare a collegare una elettro-acustica, ignorando l’assenza di un tweeter.
La qualità c’è tutta e l’oggetto, che è orgogliosamente “manufactured in USA”, ha un prezzo proporzionato. Il target è quello professionale e se volete qualcosa di economico meglio cercare in altre latitudini.
Va ricordato – anche se non abbiamo avuto modo di provarlo personalmente – che il Power Engine 60 è progettato per un utilizzo combinato con un numero infinito di altri suoi simili, sfruttando l’output bilanciato fino a ottenere un vero “muro” di ampli.
Maggiori informazioni dal distributore italiano Backline SRL.
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