Spesso, a volte anche fin troppo, siamo stati abituati ai cosiddetti “Amp in a Box” con tutte le loro forme – trite e ritrite – che abbiamo visto negli ultimi decenni.
Stavolta parliamo di un oggetto che immette qualche novità nella filosofia costruttiva, ma che merita e necessita di essere raccontato con un minimo di quella che gli anglosassoni chiamerebbero “backstory” per comprendere due fattori principali: il primo è chi ha ideato il prodotto finale, il secondo è perché e come lo ha voluto impostare…
Chi è Guido Michetti di Vinteck?
Per molti sarà sicuramente un nome già noto, del resto Guido sono decenni che detta legge sul mondo degli switcher e altri prodotti/accessori dedicati ai chitarristi e non solo.
Vinteck è un brand che in Italia e all’estero ha anticipato l’idea di looper-switcher di moderna concezione, diversamente dai sistemi complessi in formato rack in stile Bob Bradshaw.
Ma Guido, a prescindere dal suo lavoro, è un musicista come moltissimi di noi, con un background certo non di quelli tranquilli, diciamolo molto apertamente (anche perché credo sia estremamente concorde e felice di ciò): una vita attaccato direttamente a una plexi a chiodo a suonare Ozzy Osbourne, i Sabaton, Black Sabbath e tutto quel panorama heavy.
Da qui la progettazione del pedale Solid Rock Circus per ottenere i suoni di questo tipo (non solo ovviamente, dal classi rock all’heavy), da parte di chi ci ha passato buona parte della sua vita.
È una premessa interessante per la quantità di quella che viene chiamata “experience” dietro questi suoni.
Vediamo invece nei successivi due paragrafi il “come” lo ha fatto.
Estetica senza fronzoli e funzionale
Come abbiamo discusso in un passato articolo sul Vinteck Natural Drive, Guido concepisce un design che divide, nel senso che può piacere o no, ma rimanendo nel campo dell’oggettività in termini di utilizzo, l’intero pedale risulta abbastanza semplice da interpretare a un primo colpo d’occhio.
- Controlli di equalizzazione: Bass per il controllo del regime medio basso, e un controllo ibrido Hi-Mid che perchette attraverso uno switch posto poco sotto il potenziometro di poter lavorare o sul regime delle medie o quello delle medio alte; riescono a ricordare effettivamente quella di un amplificatore Marshall, il che li rende effettivamente molto semplici da utilizzare.
- Controlli di livello: abbiamo i due controlli di Volume e Boost che gestiscono il volume generale del pedale e il volume del booster, posti entrambi sulla seconda linea di controlli insieme ai due switch per il clipping e l’EQ. Ovviamente è presente anche il Drive che controlla la quantità di gain.
Se decidiamo di aprire il pedale e curiosare al suo interno, possiamo trovare un’ulteriore possibilità di cambiare il metodo di clipping, che gioca un ruolo quasi fondamentale con l’ultimo switch che troviamo invece sulla sinistra del pedale, ovvero quello che segna “Plex” e “800”.
Sono i due nomi forse più iconici del mondo dell’amplificazione britannica ed è abbastanza semplice capirne lo scopo, cambia la risposta timbrica del pedale: rispetto al suono più classico Plex, l’800 aggiunge una bella quantità di volume, una distorsione più graffiante e squadrata e un suono più grosso sui bassi.
La lettura dei controlli è lineare e non dà particolari problematiche di sorta, una scelta per l’enclosure che reputo sensata (la forma stretta e alta lo rende più facile da utilizzare in ambito live).
Se addirittura (mi viene in mente il compressore di Andy Timmons) avesse la possibilità di un comando remoto (anche a relè) per poter attaccare o staccare il boost, sarebbe ancor più completo.
IMMAGINE
Qualche Test sul campo
La tavolozza di test si divide principalmente in due, con o senza amplificatore vero e proprio, questo perchè il pedale può essere abbinato anche a simulatori di amp (digitali o analogici, a preferenza del chitarrista).
Partiamo dal basso: sul front di un amplificatore, il pedale ha un quantitativo di volume molto ampio, sia per quanto riguarda la sezione vera e propria che il boost integrato, che viene inserito dopo lo stadio di distorsione.
Come successo con la Masotti OD Box, non è qualcosa di sfavorevole, ma si fa necessaria una dose di accortezza ulteriore.
I controlli di equalizzazione hanno un Q piuttosto chirurgico, volendo fare un parallelo mi ha ricordato il comportamento del controllo delle alte frequenze dell’LAA Custom Phil X.
In generale è l’idea di base che troviamo anche in molti amplificatori, andando però oltre i soliti noti può ricordarmi il Simms Watt, un concorrente minore di Hiwatt di quasi mezzo secolo fa.
Per quanto riguarda invece il guadagno, direi sia abbastanza inutile dire che ne abbiamo per gestire tutte le umane necessità.
Gli amplificatori che ho utilizzato, includendo anche il Marshall Origin in fiera a Padova di quest’anno, sono i miei due amplificatori “storici” (nel senso che sono con me da una decade), ovvero l’H&K edition tube e un altro H&K 20th anniversary.
In più non manca mai una proiva con il piccolo Fender Champion 600.
Partendo dal più piccolo per dimensioni e wattaggio, con il Fenderino regala belle soddisfazioni, ma il cono purtroppo fa parecchio la sua, e purtroppo non nel senso positivo, non si riesce a ottenere il massimo da questo piccolo amplificatore.
Purtroppo le dimensioni molto ridotte dell’altoparlante (6”) fanno perdere molte frequenze medio-basse e quindi soprattutto con la modalità 800 del pedale non si sposa proprio benissimo
Tutt’altra storia con gli altri due combo H&K, che montano un Celestion Creamback e un Classic Lead, ma non è solo il cono a dire la sua, parliamo di finali (e relative valvole) totalmente diversi.
Diciamolo chiaramente, le intenzioni e le promesse vengono mantenute, il Solid Rock Circus ti riesce a dare quella specifica sensazione di amplificatore “tirato per il collo” anche a volumi ragionevoli.
L’ultimo test è stato fatto con delle simulazioni, ovvero utilizzando un Torpedo Cab M per vedere fino a che punto può essere una soluzione per evitare di usare una preamplificazione digitale (ovvero quella integrata nel CAB M).
Il Solid Rock Circus si è comportato bene anche se con tutti i limiti del caso, non si ha la stessa risposta al tocco delle valvole, ma di sicuro supera quella di un preamplificatore digitale.
Il suono è molto meno inscatolato, più a fuoco e meno vetroso, ovviamente la regolazione del finale è stata fatta con le EL34 per avere l’idea di ricreare un vero e proprio Marshall da zero, e devo dire che il risultato è stato inaspettatamente soddisfacente, dato che questo tipo di soluzioni sono spesso più dei “paliativi” per ragioni di logistica che una scelta voluta.
Anche in questo caso, quindi, il pedale mantiene le promesse e si riesce a essere versatili visto che si va dritti in un mixer con la simulazione di cassa e di finale, ottenendo un suono “di spessore” senza spettinare la gente o se stessi.
Non sarà la sensazione di avere il testata e cassa o di avere una testata e il Captor X, ma il compromesso è davvero più che accettabile per la resa che si riesce a ottenere.
Che tipo di necessità risolve questo pedale?
In base al comportamento sul campo, possiamo dire che ci sono diverse possibilità che lo possono effettivamente rendere “utile” (usando il termine in senso molto ampio).
Primo tra tutti è quella della necessità dei suoni Marshall, per quanto il nostro gusto potrebbe non esserne incline, ma se ti trovi a suonare in progetti dove il tuo suono non è richiesto, o un progetto tributo, o comunque serve quel determinato tipo di suono, può essere una soluzione senza dover impazzire a cercare/gestire/cablare un altro amplificatore che in situazioni di allestimento di prove o live potrebbe essere impegnativo.
Secondo caso è quello di usarlo come vero e proprio preamplificatore vicino a un IR Loader per poter addirittura evitare di portare l’amplificatore in giro, contando che il circuito di drive e boost annesso permettono di ottenere già una serie di suoni che possono essere gestiti anche con il solo potenziometro della chitarra.
Terzo caso, usarlo come semplice doppio pedale di drive & boost, previo buon abbinamento al nostro ampli, ma devo dire che si è comportato bene anche con un Marshall Origin che è la serie più “umile” di Marshall, così come sul piccolo Fender Champion 600 anche se con il cono Jensen non è proprio nel suo mondo ideale, e anche con i due H&K edition tube.
Insomma, riesce bene a farsi “mangiare” dagli amplificatori.
Maggiori informazioni sul sito di Vinteck.
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