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Il balletto e la sinfonia in Russia

Ricominciare a vivere come si era soliti fare prima dell'arrivo della "Sacre du printemps" fu decisamente impresa ardua per tutti gli spettatori e compositori che assistettero alla sua prima rappresentazione al Théâtre des Champs-Élysées; il successo e l'esplosione della "Sagra" dovettero sembrare difficilmente egu

Ricominciare a vivere come si era soliti fare prima dell’arrivo della Sacre du printemps fu decisamente impresa ardua per tutti gli spettatori e compositori che assistettero alla sua prima rappresentazione al Théâtre des Champs-Élysées; il successo e l’esplosione della “Sagra” dovettero sembrare difficilmente eguagliabili, ma Serge Diaghilev non era certo persona capace d’arrendersi facilmente, ed il capitolo successivo alla fortunata collaborazione con Stravinsky si dimostrò uno dei più intensi calembour artistici dell’intero secolo.

Parade (1917) fu il risultato della collaborazione di Pablo Picasso per le scenografie, su soggetto di Jean Cocteau e musica di Erik Satie. Le importanti collaborazioni furono sicuramente punto di forza nell’iscrizione ai libri di storia dei Balletti Russi, ma tale risultato si ottenne anche grazie alle innovazioni introdotte dalla compagnia. Nel XIX secolo, fra gli anni Trenta e Cinquanta, il balletto romantico era fiorito in Francia, trovando nascita ufficiale nella Sylphide che, debuttò nel 1832 all’Opéra National di Parigi con Maria Taglioni nel ruolo principale.

Il balletto romantico si ambientava generalmente in luoghi lontani, talvolta arcaici, distanti dalla quotidianità della platea. Successivamente nell‘800, il balletto italiano trovò successo grazie alla sua spettacolarità e, insieme alla tradizione francese, fu assorbito nella Scuola Imperiale russa. Qui fu Marius Petipa, coreografo nato in Francia, ad elevare la qualità e reputazione della tradizione russa ponendo le basi su cui muoverà il lavoro sperimentale e di contaminazione artistica di Diaghilev.

La propensione alla maggior libertà espressiva e commistione con ogni altro tipo d’espressione artistica insita nella volontà del suo impresario, portarono cinque grandi coreografi a lavorare con i Balletti Russi nei venti anni di carriera (Michel Fokine, Vaslav Nijinsky, Léonide Massine, Bronislava Nijinska e George Balanchine), e furono indubbiamente anche loro parte della crescita e riuscita di questo ambizioso progetto.
Il grande successo dei Balletti Russi fuori dal territorio natale del suo fondatore è elemento molto significativo. Indubbiamente la partenza di Diaghilev per Parigi fu fondamentale, forse in Russia non sarebbe mai potuto giungere a risultati analoghi, soprattutto con l’imminente rivoluzione ed il clima di restrizione che si sarebbe presto creato.

Per quanto riguarda la scena prettamente russa, anche nell’ambito del balletto torneranno a breve sul nostro percorso i nomi di Dmitrij Šostakovič e Sergej Prokof’ev, soprattutto il secondo trovò nella tradizione del balletto uno dei lidi più appropriati per dar sfogo alle proprie idee e alla propria inventiva, divenendo indubbiamente uno dei vertici massimi del genere. 

Fra i compositori cui solitamente si riserva minor attenzione è giusto ricordare che negli anni di maggior fervore rivoluzionario i nomi di Vladimirovič Asaf’ev e di Reinhold Moritsevič Glière furono fra i più apprezzati. Asaf’ev trovò, immediatamente dopo la Rivoluzione d’ottobre, grandi consensi con le tematiche de La Carmagnola, il cui soggetto riprenderà quasi quindici anni dopo per Le fiamme di Parigi (1932).
Glière trovò anch’egli i maggiori successi nel primo periodo post-rivoluzionario, in particolare con Il papavero rosso del 1927, in cui ad attento sguardo, malgrado la totale adesione del compositore ai dettami del regime, si può rintracciare qualche sporadica citazione d’estrazione debussiana.

All’infuori dall’operato di Šostakovič e Prokof’ev la produzione per balletto russa nel XX secolo non si mosse mai troppo dai dettami imposti negli anni successivi la Rivoluzione d’Ottobre. Durante gli anni del “disgelo”, come avvenne per il genere dell’opera, anche il balletto non mutò le proprie tematiche, attenendosi sempre molto rigidamente ai soggetti storico-rivoluzionari. Tale staticità non impedì la stesura di capolavori tutt’oggi apprezzati quali Spartak o Spartacus (1956) di Chačaturjan, basato sull’omonimo romanzo di Raffaello Giovagnoli, che anche in tempi odierni riscuote ancora molti applausi sui palcoscenici di tutto il mondo.

Sempre più prepotentemente i nomi di Prokof’ev e Sostakovic sgomitano per emergere dalla fitta trama del nostro racconto in molti generi della composizione. La loro venuta è ormai imminente ma, prima d’affrontarne le grandi gesta, alcuni nomi meritano menzione in questo nostro racconto. Il 900 russo vide l’operare di molti compositori alla ricerca di una via “sovietica” alla sinfonia intesa, in senso mahleriano, come poema sinfonico.

Il regime intravide subito nella sinfonia buoni mezzi in funzione celebrativa e propagandistica, così il dipartimento per la propaganda ideologica (Agitotdel), commissionò le prime opere sinfoniche “attualizzate”. Sinfonia agricola (1923) di Kastalskij, Monumento Sinfonico 1905-1917 (1925) di Gnesin, Fonderie d’acciaio (1926) di Mosolov, Ode funebre in memoria di Lenin (1926) di Krejn e la Seconda Sinfonia “Ottobre” (1927) di Šostakovič furono la risposta all’appello del dipartimento, sfoggiando titoli eloquenti e ricche di canti rivoluzionari.

Gli anni Trenta imposero anche al genere sinfonico l’adattamento ai dettami di realismo socialista sulla via “sovietica” della cultura, andando ad affermare il descrittivismo musicale come prima forma del poema sinfonico. La Terza e Quarta Sinfonia di Knipper sono ottimi esempi, insieme alla Terza Sinfonia “Lenin” di Šebalin e alla Terza Sinfonia “Requiem in memoria di Lenin” di Kabalevskij.

Asaf’ev, che fu anche il più importante musicologo dell’era staliniana, teorizzò e concretizzò la corretta via per l’estensione del realismo socialista alla musica pura nei saggi Forma musicale come processo (1930) e Intonazione (1947).

Se vogliamo però trovare un nome che rappresenti l’albore della sinfonia sovietica, lo possiamo rintracciare con Nikolaj Jakovlevič Mjaskovskij, la cui Sesta Sinfonia (1923) rappresenta per molti versi il prototipo della sinfonia sovietica. Mjaskovskij scrisse prima della morte ventisette sinfonie, fu insignito di alcuni premi ufficiali senza però riuscire a scampare alla pensante censura di Ždanov.

È tempo di fermare il nostro viaggio per una sosta e darsi appuntamento al prossimo incontro, nel quale faremo finalmente la conoscenza di uno dei giganti della musica russa: Dmitrij Šostakovič.

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