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Il Wozzeck di Berg

Non alzatevi dalle vostre "scomode" poltrone perché il peggio deve ancora venire, Berg rigetta in Wozzeck la parte più nera di sè, il proprio animo represso, fustigato e umiliato, nutrito in anni passati in guerra sottomesso, come il suo protagonista, a gente che odiava, messo in catene, prigioniero e costretto alla

Non alzatevi dalle vostre “scomode” poltrone perché il peggio deve ancora venire, Berg rigetta in Wozzeck la parte più nera di sè, il proprio animo represso, fustigato e umiliato, nutrito in anni passati in guerra sottomesso, come il suo protagonista, a gente che odiava, messo in catene, prigioniero e costretto alla rassegnazione.

Un Wozzeck strutturato in tre atti: a) Esposizione di situazioni psicologiche-esistenziali; b) Peripezia e sviluppo della folle gelosia di Wozzeck, sfruttato dal Dottore come cavia per i propri esperimenti comportamentali; c) Catastrofe: Capitano e Dottore sono simboli dell’indifferenza delle classi superiori nei confronti delle subalterne; Marie e Wozzeck soccombono mentre il bimbo resta solo in scena sul proprio cavallino.

Per coerenza diegetica, nell’inserimento di contenuti multimediali si è scelto di utilizzare materiale proveniente da un’unica fonte. Per quanto riguarda la selezione video qui riportata si è scelto di attingere unicamente al film “Wozzeck” diretto da Joachim Hess nel 1972, per la selezione fotografica invece ci si è appoggiati all’archivio della Bayerische Staatsoper. Nelle fotografie è ritratta la messa in scena di Wozzeck del 7/12/2012 con la produzione di Andreas Kriegenburg.

Le fotografie sono state realizzate da Wilfried Hösl. Il sipario è alto. Wozzeck si sta occupando della rasatura mattutina del suo Capitano che, tenore dal canto isterico, lo intrattiene in disquisizioni moralistiche e pseudofilosofiche sul Tempo. La Suite orchestrale, dell’Atto I scena prima, si mimetizza col movimento radente del rasoio mediante un accordo di cinque note che scivola in un altro di dieci. Emergono le “tonalità latenti”, in maniera incisiva, nella scena successiva in forma di Rapsodia: una composizione libera che segue il divagare di Andres e Wozzeck che ricercano legna mentre questo ha allucinazioni di un mondo infuocato. 

Il Wozzeck di Berg

Nella scena terza, Marcia militare e berceuse, compare Marie: convivente di Wozzeck e personaggio equivoco che vagheggia un Tamburmaggiore, identificabile nella Marcia, cercando equilibrio tra desideri sessuali, fanatismo religioso e amor materno. Culla il proprio figliolo intonando una ninnananna romantica e dalla piena struttura tonale intensa, che ha inizio con l’accordo di cinque note Salomèttiano già citato negli Altenberg-Lieder.

L’antagonista che affretta il declino psichico di Wozzeck è il Dottore, convinto che la “bella aberratio mentalis partialis” gli cederà l’immortalità. Domina la quarta scena in forma di Passacalle: si tratta di ventuno variazioni su di un basso ostinato. Suo tema è una serie di dodici note sadicamente razionali che tendono a ridurre gli essere umani a una mera serie di dati empirici. Quest’aria, costruita attorno a una serie di quarte e quinte, sta a significare la crudeltà della società, un’onorificenza alla propria “teoria” e “fama”… Berg parla “per caso” di Schönberg?

Nell’ultima scena, in forma di Rondò, il Tamburmaggiore sovrasta Marie con accordi dissonanti di Do maggiore accennando al “Wir arme Leut” (“Noi povera gente”), tema della scena d’apertura quando Wozzeck ha uno sfogo lirico per recriminare intensamente la sua condizione disperata a Marie, altra vittima sacrificata a lui solidale.

La scrittura in dissonanze denota la spregevole crudeltà dell’autorità e l’oppressivo potere economico; mentre la tonalità designa: l’amore di una madre per il proprio figlio, l’impetuosa gelosia di Wozzeck e la concupiscenza di un soldato fanfarone. Berg supera le idee del suo maestro, utopista di un nuovo linguaggio, e torna a quello Straussiano e Mahleriano del contrasto tra dissonanza e consonanza modellante l’espressione più intensa. Bene e Male lottano e convivono nell’anima Wozzeckiana. L’Atto II è una Sinfonia in cinque movimenti dove nel Tempo di Sonata d’apertura viene sviluppata la paranoia di Wozzeck come tema classico raggiungendo l’apoteosi della dissonanza.

Arriva un inaspettato momento di conforto nelle vesti dell’accordo di Do: è l’ultimo atto di affettività in cui Wozzeck dà a Marie il denaro guadagnato soffrendo le vessazioni di quei manigoldi ribaldi del Capitano e del Dottore. Fantasia e fuga (a tre soggetti) è il secondo movimento in cui Capitano e Dottore se la ridono a tormentare Wozzeck insinuando che la civettuola Marie se la spassi col Tamburmaggiore. Lo scontro tra i due avviene nel lento Largo, accompagnato da quindici strumenti, perpetuandosi nel giardino di una vecchia locanda zeppa di ubriaconi, dove un’orchestrina strampalata strombazza un Ländler dissonante. Wozzeck prende coscienza del tradimento in questa quarta scena in forma di Scherzo: struttura classica con due parti divise all’interno e qui arricchite da due trii.

Il Wozzeck di Berg

L’orchestrina locandiera, quella tipica “banda sul palco” dell’opera italiana ottocentesca e del Don Giovanni, è per Berg connotativa del linguaggio operistico e suo topos, che fa qui della musica da ballo stonata e volgare con parti corali polifoniche interpretate da garzoni e soldati. A fine scena appare “il pazzo” (un personaggio simile al fool shakespeariano) che ode la prossimità del sangue, rivelando così la verità a Wozzeck che s’immagina l’incontro carnale tra Marie e il Tamburmaggiore ripetendo tra sé e sé: “Blut? – Blut, blut!“, mentre viene attaccato il folle walzer in ¾ dall’orchestrina.

L’apice dell’umiliazione giunge nel Rondò marziale, ultimo movimento, quando Wozzeck vorrebbe trovare vanamente un po’ di quiete, in una caserma piena dell’atonale russare dei soldatelli, ed invece irrompe il Tamburmaggiore che lo schernisce millantando la propria conquista di Marie. Wozzeck ferito fischia per sbeffeggiarlo ma viene pestato sanguinosamente.L’Atto III è un séguito di sei Invenzioni: 1) sopra un tema (sei variazioni e fuga a due soggetti); 2) sopra una nota (Si); 3) sopra un ritmo (polka); 4) sopra un accordo; 5) sopra una tonalità (Re minore ed unica scena strumentale); 6) sopra un movimento regolare di crome su terzine regolari (Perpetuum mobile).

Marie recita la Bibbia a voce alta al figlio, mentre traballa tra il luccichio delle rassicuranti verità cristiane ed il senso di colpa, così il tema di un corno viene sbatacchiato lontano da delle serie dodecafoniche. Entra Wozzeck accompagnato da alterni suoni gravi ed acuti di un Si ossessivo, ed insieme a Marie passa vicino ad uno stagno dove vedono una “luna rossa sorgere come un coltello insanguinato”.

La scrittura di Büchner pare anticipare la simbolista Salomè di Wilde, a tal punto che trombe, corni e viole suonano una trasposizione dell’accordo della Salomè straussiana alludendo ad un’illecita sessualità prossima alla distruzione. Wozzeck contrappuntato dai timpani estrae il suo coltello e istintivamente lo spinge nel collo di Marie, quasi senza dare tempo all’accompagnamento orchestrale di commentare l’infausto gesto. Scappa a precipizio e silenziosamente, mentre l’orchestra riflette sull’accaduto e ricostruisce la scena con una crescente successione martellante di suoni.

Ritorna il Si mormorato da un corno con gli altri strumenti che convergono incessantemente su quella stessa nota, la cui orchestrazione dà il là a una massa di armonici dall’eccezionale ricchezza. Il crescendo s’impreziosisce dell’intera sezione delle percussioni, tale che gli armonici cedono il passo al rumore, dall’udibile si passa all’estremo dolore. La scena si trasforma quasi illusionisticamente in una taverna avente uno scordato pianino pestato rozzamente da un garzone che strimpella una polka fracassona, e Wozzeck è seduto ad un tavolo con il sangue che gli cola dalla mano senza che se ne accorga.

A questa visione allucinata in osteria appartiene la più forte violenza espressionista, manifesta nelle danze triviali e nelle deformazioni dei canti e del timbro di un pianino stonato.S’avvicina a Margherita, la fa ballare e poi sedere sulle proprie ginocchia e lei scorge dei grumi di sangue penzolanti, così Wozzeck confuso e osservato fugge incontro allo stagno. Mentre ricerca il coltello selvaggiamente urta la salma di Marie, sente delle voci che sono le sue più fosche paure interiori e dopodiché l’orchestra suona delle trasposizioni di un accordo di sei note mentre lei sprofonda tra le onde. Il Dottor e il Capitano si meravigliano dell’immobilità della scena e ne parlano senza cantare.

L’orazione da infante, da intendersi nell’etimo “senza parola”, dell’interludio orchestrale nella penultima scena (Invenzione sopra la tonalità di Rem), pare sia una confessione di natura “romantica”, intesa come partecipazione diretta dell’autore che si appella all’umanità rifiutando ogni formalismo od oggettivismo, rivendicando il sentimento della compassione: è un abbozzo di una sonata mahleriana tonale in Rem del 1908-1909, neoclassica poiché poggia su di un materiale storicizzato, segno di una discontinuità musicale che pervade l’intera opera.

Questo tema associato a Wozzeck, che rimanda ai leitmotiv wagneriani, sgorga finalmente in urlo liberatorio ed è una sorta di “sipario” infarcito di cantabilità estesa e pezzi non cantabili. Non manca il contrattacco della dissonanza, con i tromboni che riprendono il “Wir arme Leut”. Dodici legni si ammassano in un accordo di dodici note e le mitragliate sonore delle percussioni riproducono l’orrendo omicidio della povera Marie. Per finire i bassi suonano una quarta ascendente ed il Rem si schianta rumorosamente: un tributo alla “Fine”.

Il Wozzeck di Berg

L’orfano figlioletto compare in scena su di un cavallino di legno, ingenuo e ignaro della morte del padre e della sua cara madre, la cui coda (dice Berg) si ricollega al principio: diverrà il nuovo Wozzeck. Un lento sfumare di accordi che si avvicendano ondeggiando ed accenni di Sol lasciano sperare, ma basti ricordare il finale del Pelléas per lasciare tutto sospeso, ancora. In questa ultima scena, Invenzione su un movimento regolare di crome, il bimbo continua a dondolarsi e codesta indifferenza, dovuta alla fissità espressiva delle crome, rispecchia la staticità della situazione.

Questa scena tanto discussa, considerata commovente da parte dei critici operistici per la sua sublimazione sentimentale e criticata dai detrattori che avrebbero voluto un finale tonale, entra in contraddizione con l’espressionismo più violento che scuote senza preoccuparsi di commuovere.
Novità assoluta dell’opera è quel contemperare il nuovo dionisiaco con la tradizione lirica, avendo nel discorso melodico il grande architrave musicale. La timbrica sterminata e discordante coincide con i contrasti consonanza-dissonanza, tonalità-atonalità, e da questa lacerazione deriva un’intima coerenza degli estremi linguistici anche se permea una raccapricciante violenza espressionista.

Che Wozzeck potesse avere un immenso successo di critica e di pubblico alla sua première, parve assurdo a Berg che invidiava, paradossalmente, a Schönberg i suoi fiaschi come quest’ultimo invidiava ad Alban i suoi successi, a detta di Theodor Adorno (in Alex Ross “Il resto è rumore”), e questa favola artistica non ebbe fine, ma corse lontano come linea retta senza capo né coda. Orizzontale e indipendente secondo un modello, “democratico”.

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