Abbiamo aperto questa breve serie sulla Scuola di Notre-Dame e la musica del Duecento con un video introduttivo, facendo conoscenza dei due compositori Magister Leoninus e Magister Perotinus. Con la precedente puntata abbiamo invece integrato le premesse grazie all’analisi di alcune forme musicali polifoniche, su tutte il Conductus e il Mottetto.
Con questa intendo concludere il ciclo sulla Polifonia di Notre-Dame mostrando un’ulteriore panorama: ovvero il ritmo, la durata dei suoni.
Di tutta la musica antica di cui abbiamo parlato fino ad ora raramente abbiamo fatto accenno a questa basilare caratteristica del suono. Per il Gregoriano, o più in generale per le musiche sacre che abbiamo incontrato nel Medioevo la questione ritmica è spesso spinosa se non controversa. La notazione neumatica non era precisa per l’altezza, figuriamoci per il tempo.
Molti interpreti hanno ovviato al problema basandosi sul ritmo metrico del testo, alternando quindi suoni lunghi e brevi, come del resto era uso nell’Antica Grecia.
Il metodo che andremo a conoscere oggi si basa effettivamente sulla Metrica ripescata dal mondo classico, ma con qualche complicazione simpatica.
Osserviamo rapidamente un esempio.
Come potete osservare siamo di fronte ad un tipo di scrittura diversa da quella a cui siamo abituati. Non sembrano esserci i consueti segni indicanti i differenti valori di tempo (croma, semiminima ecc.), ciò che dobbiamo osservare qui sono i raggruppamenti di tali neumi quadrati.
Ciò viene chiamato Notazione modale e si tratta di una pratica a tratti astrusa da leggere, ma che rappresenta uno dei primi tentativi di scrittura ritmica.
Il motivo di tale direzione, come anticipato nei precedenti episodi, è ovviamente legato alla sempre più sontuosa polifonia vocale. Le tre e quattro voci necessitano di regole chiare per incastrare al meglio le melodie. Questo fu l’inizio di una clamorosa storia notazionale.
Per comprendere al meglio l’aggrovigliato discorso vi rimando al video.
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