I temi esposti di seguito sono, per natura e per molte ragioni correlate, ardui da affrontare, pertanto, per quanto possa sembrare assurda la necessità d’appello, tengo ad esortarne una lettura il più distaccata possibile da ogni forma di complottismo intellettuale; nel corso di questa rubrica ho provato ad affrontare ogni tematica cercando d’approfondire gli argomenti d’estrazione musicale e lasciando, per quanto possibile, le vicende politiche a fare da sfondo alla narrazione. È impossibile però non spendere alcune parole sull’argomento già ben chiarificato dal titolo del presente articolo.
Nella notte del 27 febbraio 1933, una settimana prima della nuova consultazione elettorale, il Reichstag (Parlamento nazionale) fu incendiato. Le elezioni del 5 marzo 1933 consegnarono ai nazisti il 44% dei voti, che, uniti a quelli dei gruppi di destra, avrebbero assicurato al governo un’ampia base parlamentare. Ma ciò non bastava, Hitler puntava all’abolizione del Parlamento.
Il Reichstag, con una legge suicida, consegnò al governo pieni poteri, compresi quello di legiferare e quello di modificare la costituzione. Nel giugno del 1933, dopo che la Confederazione dei sindacati liberi era stata soppressa con un provvedimento di polizia, il Partito Socialdemocratico tedesco, accusato di alto tradimento, fu sciolto.
Alla fine di giugno anche il Partito tedesco-nazionale si sciolse su pressione dei nazisti. Nel luglio dello stesso anno Hitler varò una legge dichiarante il Partito nazionalsocialista come unico consentito in Germania, nella notte fra il 29 ed il 30 giugno 1934, passata alla storia come la “notte dei lunghi coltelli” le SS di Hitler eliminarono il capo delle SA insieme a tutto il suo stato maggiore.
Con la morte del maresciallo Röhm nell’agosto del 1934, Hitler varò una legge che gli consentì di cumulare le cariche di cancelliere e capo dello Stato, obbligando così gli ufficiali a giurargli fedeltà. La strada della storia per come la conosciamo era pronta per essere percorsa.
Il 22 marzo 1933 Kurt Weill lasciò la Germania, il 4 aprile anche Klemperer abbandonò e il 17 maggio Schoenberg si trasferì in California: “Sono stato costretto ad andare in Paradiso” dirà l’anno successivo. A causa di Hitler la musica classica non soffrì soltanto di danni materiali incalcolabili – dice Alex Ross in “Tutto il resto è rumore” – ma di una più profonda perdita di autorità morale. Ciò a cui Ross fa riferimento è la progressiva sovrapposizione della musica classica all’orrore delle gesta del Führer che si protrasse per molti anni dopo la caduta del dittatore.
Gli alleati fecero del loro meglio per salvare i capolavori della tradizione tedesca dall’assimilazione della propaganda nazista, ma non sempre riuscirono nell’impresa. L’estremo amore di Hitler per la musica ebbe forti conseguenze. All’inizio di maggio del 1906 Hitler compì un viaggio a Vienna, il primo della sua vita e dalla corrispondenza con l’amico August Kubizek abbiamo testimonianza di alcune esperienze musicali del giovane Führer, in particolare di una in grado di segnarlo in maniera indelebile.
L’8 maggio 1906 all’Opera di Corte Hitler assistette al “Tristan und Isolde” di Wagner diretto da Gustav Mahler, nella celebre produzione con le scenografie del pittore Alfred Roller, che per l’occasione immerse la già misteriosa partitura wagneriana in un semiastratto turbine di luci e colori.
Le immagini di quel Tristano rimasero impresse così a fondo nella mente di Hitler da suscitare in lui il desiderio di dedicarsi all’arte. È un caso curioso quello del Tristan che colpì Hitler, diretto da un austriaco d’origine ebraica e frutto della penna di un compositore in grado di unire pensieri d’atroce efferatezza ad arte dalla bellezza sublime.
Non è un caso però che l’alleanza fra musica tedesca e ideologia reazionaria risalga a quest’ultimo, Richard Wagner, che nel suo “Das Judentum in der Musik” (“Gli ebrei nella musica”) lamentava l’ebraizzazione della musica tedesca, ma soprattuto auspicava che gli ebrei facessero esperienza di Untergang e Vernichtung: rovina e auto-annullamento” (1).
Wagner si riferiva all’annullamento spirituale, sacrificio di sé, e non a quello fisico, ma, come se ciò non bastasse ad aizzare le idee più folli, il compositore non mancò di servire buon materiale su cui poggiare ulteriori proprie macchinazioni: “gli ebrei sono i nemici giurati della vera umanità e di tutto ciò che di nobile c’è nell’uomo», oppure sono il demone della rovina dell’umanità“.
La disquisizione antisemita si insinuò inevitabilmente anche nella musica, e il “Parsifal” (che Wagner compose in concomitanza con i suoi ultimi scritti sulla razza) più di tutte le opere acquisì un’aura minacciosa. Hitler venerò Wagner e la famiglia del compositore fece lo stesso con il Führer, la città di Bayreuth ed il suo teatro divennero meta di pellegrinaggio obbligatoria per ogni genere di seguace dell’arianesimo.
Inspiegabilmente Richard Strauss, il più ebraizzato dei compositori tedeschi, divenne il campione musicale della cultura nazista. La vicenda di Strauss è però ben più intricata della semplice “sottomissione al regime” entro cui spesso si finisce per racchiuderla. Non basterebbe un intero libro per raccontarla nei minimi particolari, ma si sappia che anche dopo l’elezione a presidente della Camera musicale del Reich, il compositore soffrì di perpetue ripercussioni da parte del regime, alle quali rispose abbassando il capo soprattutto per salvaguardare la salute della famiglia. Inizialmente Strauss, come molti altri, si fece infervorare dal nazismo nella speranza di una nuova rivincita della “grande arte” sulla volgare musica popolare ormai tanto in voga.
A tradire Strauss, in un momento in cui il nazismo aveva iniziato a rivelarsi per la sua vera natura, furono però le sue stesse parole “Ai miei occhi esistono solo due categorie di persone, quelle che hanno talento e quelle che ne sono prive, e ai miei occhi il Volk esiste soltanto nell’istante in cui diventa il pubblico” (2).
Tale visione non era sopportabile dal partito e Strauss fu destituito dal trono dei compositori del regime, a salvare lui e la sua famiglia da una sorte rovinosa fu soltanto l’immensa fama.
La musica ebbe un ruolo fondamentale nel consolidamento del potere di Hitler, il quale proprio grazie ad una più che buona conoscenza musicale si procurò il consenso di menti fra le più brillanti. Per il Führer la crescente ignoranza della grande tradizione musicale era uno dei segni di declino della Germania, malgrado ciò la musica non divenne mai uno strumento sotto l’autorità diretta dello stato.
A differenza di Stalin, Hitler “storse il naso di fronte alla piaggeria propagandistica” (3), nel 1935 ordinò addirittura che non doveva più essergli dedicata altra musica: era la politica ad aspirare allo status della musica e non viceversa. I lavori di Beethoven, Bruckner e Wagner sembravano essere stati scritti appositamente per accompagnare i sontuosi raduni politici del Reich, non poteva esistere e non poteva essere ideato nulla che fosse una miglior espressione dello spirito tedesco.
Hitler fece ampliare le platee dei nuovi teatri, alle serate wagneriane di gala esigeva rigorosamente luoghi gremiti, al punto da andare a prelevare ufficiali e membri di spicco del partito dalle loro occupazioni pur di colmare i posti lasciati vuoti. Ad una così articolata e complessa situazione, compositori, musicisti e artisti risposero lasciando la Germania o assecondando (spesso loro malgrado) le richieste del regime.
La più evidente voce di dissenso fra i compositori tedeschi venne da Karl Amadeus Hartmann, che inserì nella sua musica messaggi cifrati d<b>'</b>opposizione. Ahimè questi, tanto ben nascosti, vennero percepiti da una così ristretta cerchia di persone da renderli inesistenti. A guardar bene il grido di protesta più forte contro il regime totalitario venne da fuori del confine teutonico, dall’Italia più precisamente, grazie alla voce di Luigi Dallapiccola, che, dopo aver decantato entusiasticamente il fascismo, perse completamente la fiducia in Mussolini con la formazione dell’Asse Roma-Berlino. Altra importante questione per la Germania di Hitler fu quella del fare i conti con l’eredità atonale.
Nel maggio 1938 Hans Severus Ziegler organizzò una rassegna di Musica Degenerata a Düsseldorf, dichiarando che la scrittura atonale era un prodotto dello spirito ebraico di Schoenberg. Un comitato presieduto dallo stesso Strauss aveva stabilito che la Camera musicale del Reich non poteva proibire opere atonali, rimettendo al pubblico il giudizio su di esse. La sorte della musica atonale e dodecafonica fu pertanto graziata dalla scure nazista, a patto che i compositori assumessero la “giusta” posizione politica.
Il 30 gennaio 1939, a sei anni dall’incendio del Reichstag, Hitler si produsse nel discorso che i posteri serberanno memoria del suo discorso come di un capolavoro. Il finale del discorso è avvincente e devastante. Tutti ne sono rimasti incantati. “Il Führer è davvero un genio”, come disse Göbbels.
“Nella mia vita spesso ho formulato delle profezie e quasi sempre venni deriso. Negli anni della mia lotta per il potere furono in prima linea gli ebrei ad accogliere con risate la mia profezia che un giorno avrei assunto la direzione dello Stato e con ciò quella intera nazione ed avrei, fra gli altri, risolto anche il problema ebraico. Ritengo che nel frattempo quelle schiamazzanti risate siano state strozzate […]”.
“Ich will heute wieder ein Prophet sein: Wenn es dem internationalen Finanzjudentum in und außerhalb Europas gelingen sollte, die Völker noch einmal in einen Weltkrieg zu stürzen, dann wird das Ergebnis nicht die Bolschewisierung der Erde und damit der Sieg des Judentums sein, sondern die Vernichtung der jüdischen Rasse in Europa” (“Oggi voglio fare un’altra profezia: Se la finanza internazionale ebraica d’Europa e d’Oltreoceano dovesse riuscire a precipitare ancora una volta i popoli in una guerra, il risultato sarebbe non la bolscevizzazione del mondo e con ciò la vittoria dell’ebraismo, ma la distruzione della razza europea in Europa”) (4).
Con quanta forza emerge la parola Vernichtung e con lei la “profezia” di Wagner, i cui versi sono demoniacamente riecheggiati nelle parole di Hitler, in particolare nella derisione del profeta più volte chiamata in causa e tanto vicina allo sbeffeggiamento del Cristo sulla Via Crucis da parte di Kundry in quel “Parsifal” osannato dal Führer (“Ich sah… Ihn… Ihn… / und – lachte… / da traf mich” – Sein Blick, ovvero “Io vidi Lui… Lui… / e – risi… / Ed ecco mi colpì il suo sguardo”).
La soluzione finale era pronta per essere applicata. L’olocausto fece strage di milioni di persone e con esse di grandissimi talenti. I campi di concentramento segnarono la fine di molti musicisti, mandati a morire in luoghi come Theresienstadt, campo prescelto per essere “modello” e oggetto dell’agghiacciante “documentario” di propaganda realizzato dal regime. Anche ad Auschwitz vi fu della musica, come quella delle orchestre che suonarono per la SS o come quella dell’orchestra femminile istituita nel 1943 e consegnata alla direzione della detenuta Alma Rosé, nipote di Gustav Mahler.
Hitler, al culmine della follia che caratterizzò i suoi ultimi giorni, volle che il suo cadavere fosse bruciato insieme a quello di Eva Braun in una pira follemente bramosa d’eternità e tristemente affine al finale del “Götterdämmerung” (“Crepuscolo degli Dei”) di Wagner. In realtà nel giardino della Cancelleria bruciarono soltanto due cadaveri intrisi di benzina, mettendo così fine al periodo più oscuro nella storia dell’umanità. È storia triste e fin troppo nota quella che narra come si svolsero gli eventi. Il presente articolo è nato con il modesto intento di sottolineare il ruolo della musica all’interno di un momento storico cruciale come quello del regime nazista, ruolo che a ben vedere non è marginale nella formulazione di un’ideologia la cui influenza, ahimè, non tutt’oggi del tutto diradata.
A fronte di ciò che è emerso in queste righe, si vuole raccomandare un’accurata e cauta valutazione delle opere wagneriane, la cui bellezza artistica è indubbiamente in grado di valicare l’orrendo verbo di cui il su0 artefice si è fatto più volte profeta.Il nazismo colpì l’Europa al cuore dilaniandone il corpo dall’interno verso l’esterno, e imbrattando del suo sangue il mondo intero. Fra chi scappò negli Stati Uniti e chi cercò di sopravvivere nascondendo il proprio disdegno, la culla della musica si sparpagliò aspettando una nuova vita, che di lì a qualche anno sarebbe ripartita proprio da una città tedesca chiamata Darmstadt.
Note:
(1) Jens malte Fischer, Richard Wagners “Das Judentum in der Musik”, Insel, Frankfurt am Main 2000, p.173
(2) Lettera di Strauss a Stefan Zweig, 17 giugno 1935.
(3) Alex Ross, Il resto è rumore, Bompiani Editore, III ristampa, Milano, 2013, pag. 505
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