Al centro di questa quinta puntata della nostra rubrica intitolata “Alla scoperta dell’Opera” troviamo l’opera “Lucia di Lammermoor” di Gaetano Donizetti.
In ogni storia ci sono personaggi più sfortunati d’altri, non esiste una regola a determinare questa condizione, accade e non potrebbe essere altrimenti. Nel corso della storia del teatro musicale c’è un nome fra gli italiani che spesso desta occhiate confuse e sguardi pensierosi. Parlare di Giuseppe Verdi o Gioacchino Rossini è lecito anche di fronte a chi non padroneggia ampia esperienza riguardo all’argomento, eppure al nome di Gaetano Donizetti rispondono spesso poca chiarezza e smarrimento.
Il compositore bergamasco si colloca esattamente in quella mutazione che traghetta dalla concezione razionalistica della musica come piacere dei sensi (in cui possiamo collocare Rossini, alla visione della creazione musicale come mezzo di comunicazione sociale, concezione quest’ultima che troverà emblema in Verdi. Per arrivare a tale consacrazione dell’opera verdiana il passaggio sulla via di Donizetti è però obbligato.
Gaetano Donizetti era uomo dalla tempra fragile, niente a che spartire con il burbero e furente carattere di Verdi, e tanto dimessa personalità trova riflesso nel suo operato. Sembra che Donizetti non sapesse rifiutare lavori a nessuno, nemmeno il più futile, motivo per cui, dopo il debutto del 1816, compose un numero impressionante di melodrammi. Donizetti si dedicò al comico come a drammi di carattere tragico, senza risparmiarsi alcune fra le più vibranti puntate a sfondo politico che il repertorio possa contare.
Vale la pena ricordare che Mazzini stesso vide proprio in Gaetano Donizetti quel compositore che avrebbe dovuto piegare il melodramma alla sua funzione d’educazione sociale e politica, missione che agli atti della storia si concretizzò in Giuseppe Verdi.
Donizetti ha regalato al teatro d’opera alcuni fra i passaggi più sublimi, fu amato dal pubblico, dalla critica e dai suoi colleghi, ma nel corso della storia è finito parzialmente per soccombere nell’ombra dell’astro di quel Verdi che gli fu tanto debitore. Donizetti visse con un piede nella tradizione che lo precedeva, ed in cui aveva maturato la propria penna, ed un piede proiettato verso il futuro, un futuro che però avrebbe richiesto carattere e personalità più tenaci per farsi tangibile.
Prodotti di una mente divisa in sé stessa da tensioni irrazionali sono però alcuni fra i più riusciti episodi di teatro musicale, ai quali anche “Lucia di Lammermoor” appartiene fin dall’esordio. Composta in anni in cui il Teatro San Carlo di Napoli versava in condizioni tendenti al fallimento, l’opera debuttò il 26 settembre 1835, conquistando fin dalla prima recita i cuori della platea. La storia dell’amore contrastato di Lucia ed Edgardo è tratta dal romanzo di
Sir Walter Scott, “The Bride Of Lammermoor“, rivisto ed epurato di alcune ramificazioni secondarie dal librettista Salvatore Cammarano, che rese così l’azione drammatica più agile e diretta.
L’opera narra della triste fine di Lucia, che nel corso dei tre atti è condotta alla morte dalla forzata negazione del proprio amore per Edgardo, il quale condividerà stessa sorte nel suicidio una volta appresa la sventura della ragazza. L’amore dei due è minato dal fratello di Lucia, Enrico, nemico della famiglia di Edgardo, e crudele burattinaio dell’infelice. Lucia non solo dovrà sopportare la partenza dell’amato, sarà anche obbligata ad un matrimonio di convenienza per sanare la situazione economica famigliare in seguito alla guerra, oltre che privata dal fratello d’ogni notizia di Edgardo dal momento della sua partenza.
Le due macro-sezioni che compongono l’opera, “La partenza” e “Il contratto nuziale“, tendono rispettivamente a due momenti cardine della vicenda, significativi punti di tensione nella geometria dell’intera partitura. “La partenza” si suggella nel duetto che trova centro focale nella promessa d’amore fra Lucia ed Edgardo e poi nello scambio degli anelli in “Qui di sposa eterna fede“.
È però sull’addio di “Verranno a te sull’aure“, uno dei brani più celebri della pièce, che Donizetti, dopo averli fatti cantare separatamente, unisce i cuori e le voci dei due amanti. Malgrado l’apice raggiunto dalla promessa d’amore tocchi punte di rara bellezza, è un altro il motivo che, quasi cent’ottanta anni dopo, spinge ancora spettatori di tutto il mondo a recarsi a teatro.
La “scena di follia”, seconda del terzo atto, è uno dei momenti più famosi dell’intero repertorio melodrammatico, amato dal pubblico e ambito dalle interpreti d’ogni epoca, che hanno contribuito non poco alla creazione di quell’aura mitologica che avvolge questo episodio. Lucia si è sporcata del sangue di Arturo, suo sposo “obbligato”, la notizia arriva in scena a Enrico ed Edgardo, che hanno appena concordato di sfidarsi a duello. Accompagnata da un flauto in orchestra Lucia compare in scena in preda ad un grave stato allucinatorio.
Distorte memorie di ricordi tornano a farle visita, ed anche la musica riprende la melodia del duetto “Verranno a te sull’aure”. La pazzia di Lucia si compie in un dispiegarsi di brevi melodie che tentano di tradurre ciò che il testo suggerisce. (1)
Al culmine della tensione la ragazza si spegnerà dopo aver consumato le sue ultime forze, ma non prima d’esser passata per una lunga cadenza che conclude il cantabile “Ardon gli incensi“.
Donizetti, in prima battuta, non scrisse che un breve percorso armonico, traccia per guidare la cantante nell’improvvisazione, ma è proprio su questa cadenza che si è solidificata negli anni la fama di questa tanto famosa e commovente aria. È grazie ad interpreti celebri che, a partire dal XX secolo circa, questa cadenza apocrifa ha assunto un ruolo primario nell’esecuzione, divenendo uno dei passaggi più attesi da tutte le platee.
Per molti spettatori l’opera sarebbe potuta finire sull’ultimo respiro di Lucia, ma Donizetti riserva per il finale un ultimo grande momento di musica. È la scena della morte di Edgardo, ed in particolare la cabaletta “Tu che a Dio spiegasti l’ali“, vibrante conclusione della vita dell’uomo nella gloria di un suicidio che lo ricongiungerà alla propria amata.
Lucia ha traghettato Donizetti nel corso del tempo, grazie ad un lungimirante utilizzo delle convenzioni musicali e drammaturgiche. La pazzia di Lucia è sicuramente la storia più celebre del compositore bergamasco, che ironicamente attorno al 1840 inizierà un vorticoso declino verso disturbi mentali che nel 1848 gli riserveranno la stessa sorte della sua più famosa eroina.
A cura di Francesco Sicheri e Antonio Rostagno
Note:
(1) Anna Maria Ribaudo, L’opera in , in Lucia di Lammermoor programma di sala Teatro Massimo di Palermo per la stagione 2011.
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