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Quando la polizia picchiò Miles Davis senza motivo

Sono passati 71 anni da quella calda sera davanti al Birdland, ma le ferite inflitte a Miles Davis risuonano ancora nell'aria come non mai.

Sono passati 61 anni da quella calda sera davanti al Birdland, ma le ferite inflitte a Miles Davis risuonano ancora nell’aria come non mai.

1959, ultimo anno di un decennio che per la Musica ha significato una vera rivoluzione. Contemporaneamente alla nascita del Rock’n’Roll, è il Jazz a vivere uno dei suoi periodi più esaltanti, soprattutto grazie alle nuove generazioni di giovani afroamericani che avevano imparato la lezione dai grandi come Armstrong, Ellington, Parker, ecc. e stavano segnando nuove rotte musicali.

Fulcro di questo turbine creativo era senz’altro New York, la città che non dorme mai, con le sue complicazioni e suoi paradossi, ma anche la sua enorme apertura alle novità e a un multiculturalismo ben più sviluppato che in altre zone degli Stati Uniti, soprattutto quelle del Sud.
A New York cresce enormemente il genio creativo di uno dei padri assoluti del jazz, Miles Davis, trasferitosi nella metropoli oramai da diversi anni, prima per studiare (ma ben presto capendo che certe Accademie erano per lui un limite prima che un’opportunità), poi per diventare uno dei Re della 52esima strada, quella in cui ogni sera si manifestava la magia – forse per certi versi la stregoneria – del Jazz.

Nel ’59 Miles era all’apice del suo successo, una star internazionale, un leader, già autore di molti successi tra cui quel leggendario Kind of Blue, in uscita proprio nell’agosto di quell’anno.

L’agosto a New York non è una stagione facile, chiunque ci sia stato lo sa bene. Il caldo diventa opprimente anche a tarda sera per il ribollire delle strade e dei palazzi, quei tombini e colonnine fumanti buone per reminiscenze cinematografiche diventano anche per i turisti un percorso a ostacoli, visti gli odori aggressivi, per usare un eufemismo…
Si cerca il conforto di un po’ di fresco nei parchi o in qualche locale grazie a una bibita ghiacciata.

È proprio l’agosto del ’59 quando Miles si esibisce con il suo leggendario sestetto al Birdland, locale altrettanto mitologico (intitolato al grande amico e mentore di Charlie “Bird” Parker, scomparso 4 anni prima) situato a Broadway, la grande strada dei teatri e dei musical, che interseca la 52esima quasi all’altezza del Broadway Theatre.

Miles Davis al Birdland con il suo sestetto

Miles è reduce da una giornata piuttosto intensa e prima di recarsi al Birdland ha partecipato a una trasmissione per la Giornata delle Forze Armate, un programma culturale che lo aveva invitato proprio per un’occasione così patriottica, cosa che non accadeva certo tutti i giorni nei riguardi di persone dalla “pelle nera”.
È bene ricordare che alla fine degli anni ’50 negli USA siamo ancora in piena segregazione razziale in molti Stati, alcuni dei quali costituivano ancora un grande pericolo per i musicisti afroamericani in tour.

La notte è molto calda, tanto che Davis pensa bene di prendere una boccata d’aria, per rilassarsi e fumare una sigaretta. È fuori dal locale, ben vestito, con alle spalle il suo nome sul cartellone.
Un poliziotto bianco si avvicina a lui e gli intima di andare via di lì, di non sostare sul marciapiede.
La risposta di Miles è ovvia: “Andarmene per quale motivo? Sto lavorando qua sotto. Vedi, quello è il mio nome, Miles Davis” indicando il cartellone illuminato, impossibile da ignorare.

Il poliziotto sembra non interessarsi minimamente alla cosa, il suo unico volere è togliere quel “nero” da quel tratto di strada o, forse, semplicemente di provocarne una reazione.
Miles non si muove e non abbassa lo sguardo.
Il poliziotto indietreggia di un passo e Miles capisce bene che quello è un movimento da pugile (il grande jazzista era un appassionato di pugilato e praticava lui stesso lo sport da diversi anni, NdR). Miles non alza le mani ma cerca di comprimere lo spazio avvicinandosi, in modo da non dargli modo di caricare il colpo.
Il poliziotto inciampa goffamente, alcuni oggetti cascano a terra. Da dietro spunta un altro detective (erano tutti lì per puro caso?), colpisce forte Miles dietro la testa.

Il vestito beige di Davis si tinge di sangue, una cara amica di Miles, Dorothy Kilgallen (giornalista e conduttrice tv, bianca), esce dal locale e si trova davanti, terrorizzata, questa scena.

Miles

Inizia a crearsi il panico, la polizia prende Miles in fretta e furia e lo porta al 54° distretto, arrestandolo. Lo fotografano, lo trattano come un delinquente di strada. Lo prendono in giro: “Così sei tu il sapientone eh?“.
Alla fine Miles riesce a chiamare il suo avvocato, ma sono già le tre del mattino. È troppo tardi, viene trasferito al quartier generale a Centre Street.

La mattina l’avvocato arriva e con lui c’è anche la moglie di Miles, Frances, bellissima donna immortalata su più di una copertina di un suo album.
Ha una crisi isterica, urla. Arriva anche l’amica Dorothy, che racconterà il giorno dopo i fatti al pubblico attraverso le sue trasmissioni.

La stampa è stata avvertita, i giornali riporteranno la famosa foto dell’uscita di Miles con i vestiti macchiati di sangue, oramai rappreso.
Dopo alcuni mesi Miles Davis viene assolto e i giudici decretano che il suo arresto è stato illegale.

Miles

Lui era Miles Davis, un “nero”, uno dei tanti che sono finiti sotto il giogo di chi non si assume la responsabilità del proprio potere.
Nonostante tutto, però, uno dei più “fortunati”, grazie al suo successo e alle sue disponibilità economiche. Ma non per questo – anzi, forse a maggior motivo – immune dal pregiudizio.

Credits: il racconto è tratto da Miles Davis – L’autobiografia, con Quincy Troupe, edizione italiana del 2001, pag. 278-281)