La Blue Note Records ha confermato la scomparsa sui suoi social network, la causa della morte è una malattia polmonare.
Smith era ancora un musicista molto attivo, nel 2018 aveva dato alle stampe il bellissimo All My Mind – entrato a far parte anche della prestigiosa Tone Poet Series di dischi in vinile Blue Note – un live registrato a New York in occasione del suo 75° compleanno, insieme al chitarrista Jonathan Kreisberg e al batterista Jonathan Blake.
Inoltre, proprio quest’anno è uscito il suo nuovo (e purtroppo ultimo) album intitolato Breathe, già disponibile da qualche tempo in CD, streaming e digital download e atteso in edizione doppio vinile agli inizi di dicembre. Si tratta della naturale continuazione del precedente disco live, con altre perle tratte dallo stesso concerto newyorkese.
Nel disco troviamo anche due featuring di Iggy Pop, che spesso negli ultimi anni si è prestato al Jazz.
Lo storico magazine Downbeat ha scritto: “Intriso di Blues, il modo di suonare di Smith accresce l’eccitazione di qualsiasi ‘vibe’ stia generando, che sia jazz moderno, funk, swing, soul o pop-rock. La sua presenza vigorosa si muove con decisione attraverso ogni pezzo“.
Dr. Lonnie Smith e l’epoca d’oro dell’organo Jazz
Gli anni ’60 e ’70 sono stati l’epoca d’oro dell’organo Hammond, non solamente per il Rock come ci ricordano tanti dischi passati alla storia, ma anche per il Jazz, il Blues e molti altri generi, soprattutto quelli di “musica nera” visto che lo strumento proveniva spesso direttamente dalle chiese e da alcune musiche collegate alla religiosità delle comunità di colore, come il Gospel.
Uno dei più famosi organisti è stato sicuramente l’inimitabile Jimmy Smith, ma ci sono anche molte altre figure da non dimenticare, come Baby Face Willette o Larry Young.
Lonnie nasce in un sobborgo di Buffalo, nello Stato di New York e quindi nella parte Est degli Stati Uniti (cosa non banale considerando la differenza stilistica tra il Jazz della costa Est e quello della costa Ovest), vicino ai grandi laghi e alle cascate del Niagara, a due passi dal confine canadese (a meno di 2 ore da Toronto).
Da bambino impara la musica praticamente a orecchio e inizia a suonare la tromba così come altri strumenti a fiato, fondamentalmente quelli disponibili nella sua scuola.
Sviluppa anche una passione per il canto e inizia a esibirsi in alcuni locali con una band di genere doo-wop, tipico stile corale in cui più voci si accompagnano e armonizzano come farebbero gli strumenti musicali (è un genere nato per le strade, i giovani afro-americani si riunivano e passavano così il loro tempo creando melodie e sovrapposizioni armoniche, musica e strada – e povertà – saranno sempre la fucina di generi della black music, vedi anche l’hip hop anni dopo).
La folgorazione per l’organo avviene di ritorno dal servizio militare, proprio dopo aver ascoltato il Re indiscusso dello strumento, Jimmy Smith, all’epoca già una grande star della scuderia Blue Note.
Ovviamente Lonnie non ha il denaro per comprarsi uno strumento, così inizia a frequentare un negozio di strumenti musicali. Il proprietario, il fisarmonicista Art Kubera, è mosso a compassione per il promettente ragazzo e gli propone una sfida: nel caso riesca a trasportare da solo un organo Hammond fuori dal negozio, peraltro durante una forte nevicata, quello strumento nuovo di pacca sarebbe stato suo.
Lonnie non si perde d’animo e alla fine ce la fa.
A quel punto c’era un aspetto non indifferente: imparare a suonarlo! Anche in questo caso la storia è buffa, perché un vicino di casa deve addirittura aiutarlo a capire come accenderlo.
Da lì in poi, armato del suo orecchio, inizia a metterci mani e piedi e in un solo anno i suoi miglioramenti sono tali da portarlo a suonare in diverse band e locali notturni di tutto il Midwest, a New York City e ovviamente nella sua Buffalo, che è ancora oggi una città vivace riguardo alla vita notturna.
L’inizio della carriera professionale vede il giovane Lonnie lo vede far parte del primo quartetto del chitarrista George Benson (It’s Uptown del 1966 e The George Benson Cookbook del ’67) e poi nelle band del sassofonista Lou Donaldson, prima dal 1967 al 1970 e successivamente durante tutti gli anni ’90.
Proprio con Donaldson gode di uno dei maggiori successi dell’epoca in casa Blue Note, ovvero “Alligator Boogaloo“, title track del disco del ’67, entrata a sorpresa nella classifica Billboard Hot 100.
Sarà poi come sideman in altri dischi, spesso di artisti non mainstream, ma il suo futuro lo impone sin dal ’67 come leader, quando pubblica il suo primo album Finger Lickin’ Good Soul Organ.
Da quel momento in poi dà i natali – fino ad oggi – a 29 dischi, sia di musica originale ma senza farsi mancare alcuni omaggi rivelatori del suo gusto musicale eterogeneo, come ad esempio le due esperienze del 1994 sulla musica di Jimi Hendrix (con John Abercrombie alla chitarra).
Nel corso delle carriera, la già citata rivista Downbeat lo porterà agli onori nominandolo “Top Jazz Organist“. Alcuni suoi album come Think del ’68 e Drives del ’70 hanno avuto ottimi posizionamenti nelle classifiche Billboard di R&B.
Ultimamente è stato ridato alle stampe un suo bel live di stile funky-soul jazz, intitolato Live at the Club Mozambique. Si tratta di un concerto del 1970 a Detroit, insieme alla chitarra di George Benson, al sax tenore di Dave Hubbard, al sax baritono di Ronnie Cuber e alla batteria di Joe Dukes.
Lasciata la Blue Note nel ’71, il vento cambia in generale per tutti, visto che la musica stava prendendo altre strade e l’organo hammond inizia ad essere meno richiesto, almeno nel Jazz, mentre paradossalmente ha più fortuna, come ben sappiamo, nel Rock, ma sotto le nuove mani di giovani musicisti bianchi, soprattutto inglesi.
Ma Smith ha sempre avuto uno sguardo volto al cambiamento e se negli anni ’80 procede attraverso la sua discografia e altre collaborazioni, nei ’90 lavora sia come leader che come ospite anche in generi del tutto nuovi come l’Acid Jazz.
Nel nuovo millennio sono molti gli artisti con cui collabora, come i chitarristi Peter Bernstein e Jonathan Kreisberg ma anche star quali Norah Jones e i The Roots.
Nel 2017 viene nominato NEA Jazz Master, uno dei più grandi onori che può ricevere un jazzista, rientrando così in “un numero selezionato di leggende viventi che hanno dato contributi eccezionali al progresso del Jazz“.
Spiritualità e groove sotto le dita
Il suo stile si può definire “viscerale”, denso, con penetranti linee di basso e un bel groove, il tutto unito a linee melodiche sempre vivaci e ricercate. Uno stile, insomma, scoppiettante, come del resto era lo stesso musicista, rinomato per il suo grande senso dell’humor e un modo di presentarsi sul palco sgargiante, con le sue tuniche colorate e il suo turbante.
Pur tuttavia, è anche ricordato come musicista dal carattere mai arrogante o sopra le righe, sempre affine all’elegante danza delle sue dita quando iniziavano a muoversi sull’organo. E si tratta, infatti, dell’altra faccia della (sua) mediaglia, comunque positiva, quella fatta di passaggi musicali eterei e avvolgenti.
Il suo turbante, del resto, più che un preciso significato religioso è il simbolo di una grande spiritualità interiore, di un legame universale basato sull’amore e il rispetto reciproco (un “amore supremo”, concetto abbracciato a suo modo anche da John Coltrane).
Anche il prefisso “Dr.” non è ovviamente un titolo accaddemico, ma ha avuto due valenze, una più metaforica, l’altra più pratica: nel primo caso, serviva a esprimere il suo essere uno scrupoloso praticante/osservante dell’arte musicale, nel secondo caso a distinguerlo dall’omonimo tastierista Lonnie Liston Smith (solista con i suoi Cosmic Echoes e attivo negli anni ’70 con Miles Davis, Gato Barbieri, Pharoah Sanders, Marvin Gaye e altri).
Dobbiamo quindi dare addio a questo straordinario musicista, strappatoci via quando ancora, con ogni probabilità, avrebbe potuto regalarci qualche altra rara perla musicale.
Ma la sua arte e la sua fama resteranno scolpite nel granito, anzi, nell’avorio di una tastiera che anche se ora è ferma, suona ancora.
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