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Il Clavinet, uno strumento malizioso e beffardo

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Lo strumento che vi fa battere il piede in "Superstition" di Stevie Wonder!

Non sentite in lontananza un suono pungente, secco, malizioso e beffardo, che vi rimanda dritti in un’epoca fatta di capigliature afro e pantaloni a zampa di elefante? Beh, oggi qui faremo una piccola eccezione, parlando di una categoria di strumenti (anzi uno in particolare) non proprio moderni in senso temporale, ma che hanno un posto speciale nel cuore di tutti noi malati di groove: ladies and gentlemen, il Clavinet!

Un simpatico musicista e inventore tedesco di nome Ernst Zacharias, lavorando per la Hohner, ebbe negli anni Sessanta l’idea di creare uno strumento elettromeccanico (e quindi amplificabile) che potesse sostituire il clavicembalo.
Di certo però non si aspettava che la sua creatura sarebbe diventata un’icona nel mondo della musica funk, rock, pop e reggae, nonostante gli avesse dato un nome che ricordava chiaramente l’illustre antenato. Fatto sta che il Clavinet, soprattutto nella sua versione più famosa, il D6, entrò ben presto a far parte del setup standard di moltissimi musicisti.

Per quale motivo? Analizziamo un momento il meccanismo di produzione del suono. Lo strumento è un cordofono, in cui le 60 corde vengono sollecitate da dei tacchetti in gomma posti alla fine dei rispettivi tasti. L’impatto causa la vibrazione delle corde, e il punto in cui avviene determina l’intonazione del suono generato; la vibrazione meccanica viene poi convertita in segnale elettrico da dei pickup posti ad una estremità delle corde.

Dalla parte opposta, un filo intrecciato su ogni corda si occupa di smorzare la vibrazione al rilascio del tasto. I pickup presenti sono organizzati in due serie (una sopra e una sotto le corde), tramite un interruttore è possibile scegliere di usarne solo uno o entrambi in parallelo: nel primo caso un secondo interruttore selezionerà la serie di pickup da utilizzare, nel secondo caso lo stesso interruttore darà la possibilità di metterli in fase o in controfase tra loro.

Sono inoltre presenti altri quattro interruttori che attivano altrettanti filtri (due passa-alto e due passa-basso, nominati Brilliant, Treble, Medium e Soft) che vanno quindi a modificare il contenuto armonico in uscita. Al rilascio dei tasti si genera un particolare rumore (il cosiddetto Keyoff) che caratterizza ulteriormente lo strumento.

È presente anche uno speciale smorzatore, cosiddetto Damper, controllato da un cursore a lato della tastiera, che riduce gradualmente il decadimento della vibrazione delle corde; in questo modo lo strumento presenta una notevole varietà timbrica. Il livello di uscita è inoltre abbastanza simile a quello di una chitarra elettrica (come ad esempio il Rhodes), il che ha favorito negli anni l’uso di amplificatori valvolari, aggiungendo così un altro elemento di caratterizzazione.

Già, il suono… non è tanto il timbro in sé che ha fatto del Clavinet uno strumento così diffuso, quanto la sua articolazione. Il meccanismo sopra descritto fa sì che l’attacco delle note sia secco, appuntito, ritmico per natura; basta ascoltare brani come “Superstition” o “Higher Ground” di Stevie Wonder (uno degli artisti che più hanno sfruttato il Clavinet nelle proprie produzioni) per capire di cosa stiamo parlando, e conseguentemente… cominciare a battere il piede.
È uno strumento che il groove te lo tira fuori in automatico, basta sfiorare i tasti.

Inoltre è uno di quegli strumenti che si presta molto bene ad essere “condito” con ogni genere di effetto. L’esempio più comune è l’utilizzo di un pedale Wah, Autowah o Envelope Filter per accentuare le qualità ritmiche dello strumento (v. la citata Higher Ground di Stevie Wonder); ma anche phaser, chorus, delay ed echo sono scelte tipiche per ottenere sonorità particolari, oltre ai già citati amplificatori valvolari per chitarra.

Grazie alle sue caratteristiche timbriche (e alle capacità di chi l’ha suonato), ci sono anche stati casi in cui il Clavinet ha sostituito, o almeno affiancato, la chitarra ritmica all’interno di una band. Più in generale, è stato fatto davvero un uso trasversale di questo strumento: dal Funk al Rock, dal Pop al Reggae, gli è stato trovato un posto praticamente dappertutto.

La produzione di Clavinet da parte della Hohner è cessata nel 1982, ma solo in tempi più recenti abbiamo assistito ad un ritrovato interesse verso questo strumento, grazie soprattutto alla tecnologia digitale che tramite le ormai conosciute tecniche di campionamento e di modellazione fisica ha permesso di ricreare queste sonorità e riportarle su strumenti di larga diffusione, sia sul versante hardware che su quello software.

Amici, grazie per aver sognato di avere un Clavinet insieme a noi. Vi diamo appuntamento alla prossima volta, con un articolo su un argomento per così dire… sintetico!

Cover photo derivative work by Mathonius, original by John AthaydeCC BY 2.0