Un discorso sull’armonia deve per forza iniziare il suo percorso dal concetto di consonanza. La parola stessa significa letteralmente “suonare insieme”, anche se, come è ovvio, non tutte le note che suonano insieme sono “consonanti”. Prendiamo due note a caso, quante probabilità ci sono che esse siano consonanti? Più o meno il cinquanta per cento, secondo quello che è il criterio con cui normalmente si classificano gli intervalli.
Rimane un “più o meno” perché i confini tra consonanza e dissonanza sono tutt’altro che netti. Proviamo quindi a vedere la cosa un po’ più da vicino.
Prendiamo una nota di riferimento, per esempio un Do. Se vogliamo metterci insieme un’altra nota abbiamo dodici possiblità, tante quanti sono gli intervalli all’interno dell’ottava.
Gli intervalli consonanti, secondo la classificazione più comune, sono la terza minore, la terza maggiore, la quarta giusta, la quinta giusta, la sesta minore, la sesta maggiore e l’ottava. I restanti sono gli intervalli dissonanti.
Perché si dividono proprio così? È un bel problema. Una parte della risposta ce la fornisce l’acustica: una nota infatti produce degli armonici, che sono sostanzialmente delle vibrazioni a frequenza più alta. I primi armonici (quelli più udibili) sono proprio l’ottava, la quinta giusta e la terza maggiore.
Se proviamo a salire di un passo però crolla tutto il castello: il prossimo armonico è la settima minore, che è un intervallo dissonante!
Evito di scendere nei dettagli perché il problema è complicato. Sostanzialmente l’affinità “naturale” tra le note non è che una parte di ciò che ci porta a considerarle consonanti. Il resto lo fa l’interpretazione che noi diamo di determinati suoni, legata alla musica che conosciamo e che siamo abituati ad ascoltare.
Limitiamoci quindi a prendere per buona la classificazione dato che l’abbiamo fatta con le orecchie, le quali hanno sempre ragione (vabbé, quasi sempre).
I concetti di consonanza e dissonanza non deve essere considerato come un giudizio di qualità su determinati suoni. I suoni consonanti non sono migliori di quelli dissonanti e le dissonanze non vanno evitate come la peste. Anzi, un pezzo di musica senza dissonanze avrebbe veramente poco senso.
Una caratteristica l’hanno i suoni consonanti però: in genere sono più stabili di quelli dissonanti. Un intervallo dissonante vuole essere “risolto”, ovvero vuole diventare consonante.
La dissonanza ha subito un processo di “emancipazione” nel corso della storia della musica, dapprima evitata, poi maneggiata con le pinze, poi usata come strumento espressivo con una certa libertà.
Nel primo capitolo di “Armonia del ventesimo secolo” di Vincent Persichetti, si legge:
“Qualunque nota può succedere a qualunque nota, qualunque nota può suonare simultaneamente a una o più note, qualunque gruppo di note può essere seguito da qualunque altro gruppo di note così come qualunque grado di tensione e sfumatura può verificarsi sotto qualunque tipo di sollecitazione e arco di tempo […]”.
E quindi? Non c’è più nulla da studiare? Si può fare tutto e il contrario di tutto?
No, da studiare c’è e tanto… il fatto è che sappiamo da dove iniziare ma non dove arriveremo!
P.S.: in alcuni casi la quarta è considerato un intervallo dissonante. Ma di questo parleremo in un altro articolo.Nicola “nickstu” Scianca
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