Prologo dello scrittore e insegnante: durante il seguente scritto si mira a comprendere le cause che gettano un’ombra sulla reale natura della musica.
Mi viene da ragionare che il puro resti quasi sempre invischiato in ciò che è impuro. Se ne avvicina lentamente, con passi d’ombra, e ne viene adescato, senza avvedersene. Dal suo stato di grazia, di certezza, di convenienza, il puro s’inoltra per dei viottoli poco chiari. Esso, come i bambini, vuole conoscere cosa sia il peccato.
Io credo che anche l’Arte, come attività mobile e pura del sentimento, faccia questo.
Stimo anche che frenare tali impeto e sete non sia consigliabile, poiché l’esperienza è davvero l’unico atto che risponde con l’insegnamento duraturo, che le maggiori precauzioni valgano meno che la prova.
Soprattutto perché tutti si è alla ricerca della parola propria, dura, inalterabile, inoppugnabile; la parola altrui, il consiglio d’altri resta lieve e inconsistente nella coscienza, non si incorpora nel sentimento con foga straordinaria, a ricomunicarla non c’è quel vigore come in quella conquistata, fatta propria per maturata sperimentazione.
Ora ci si potrà interrogare in cosa l’arte possa essere impura, stante che per noi arte è tutt’altro: è volo fantastico, è indulto dal mediocre, è acquisto liberatorio.
Molto presto sono giunto a capire che per molti si tratta soltanto di un pensare per mitologie, per frasi smaccate, non per attività reale. Per tanti l’arte è unicamente nell’estetica dell’arte, cioè la ricerca benefica si esaurisce nell’atto di confronto estetico tra sé e la musica o, molto più schiettamente, tra sé e gli altri.
Del resto questa condizione, snobilitante e difformante, non si è limitata a invadere il solo campo della musica, ma è stata vera anche per tutti gli ulteriori modi che l’arte ha usato nell’esprimersi.
In un momento della storia del secolo scorso anche le parole o le immagini non hanno più voluto significare nulla del profondo, ma solo adeguarsi a un’indole estetica, a imbellettarsi di attraenti niente di superficie. Che è un po’ quello che avviene alla fotografia contemporanea, tesa, come dice Salgado, a sparire del tutto, non più incline al senso di vedere ma piuttosto a quello di dissimulare, di contraffare.
Quando ciò si fa vero, allora l’arte conosce l’impuro. Uno dei fini che pongo per ogni nuovo allievo che mi si siede dinnanzi è di smontargli dal viso e dallo sguardo, quindi da tutta la sua persona quell’inclinazione all’impuro, per tenderlo a una più umana veduta della musica.
Devo dirgli che attendere allo studio della musica è un atto di ritrovamento della sensibilità, poiché è mettersi alla ricerca dell’armonia, sapere come usarla, significa avere trovato i movimenti del sentimento.
Allora occorre stabilire cosa solleciti l’attrattiva in musica, cioè qual sentimento ne sia alla base. Naturalmente, è la meraviglia quel sentimento, può essere dolce, vivace, agitata, tormentata, attristata. Ma l’emozione sostanziale è la meraviglia. Per capire da cosa venga sollevata la meraviglia pura, io credo che si debba risalire a momenti della storia umana assai più innocenti che i nostri.
A riprendere Omero o Dante o Bach, il che significa ritornare alle pietre miliari, non si fa che scorgere la purezza sorta dalla novità, dall’aurora di un avvenimento. Si è soliti vedere e immaginare il sentimento della meraviglia come qualcosa che si presenti iperbolicamente, le cime della fantasia e l’allontanamento totale dalle cose della realtà.
A provare questo è il culto dello spettacolare che oggigiorno trabocca per ogni dove, con la cinematografia per esempio, o anche con la musica, in esecuzioni assolutamente tecniche. Ma ciò che si presenta come fallace in questa considerazione è l’aver mal indovinato in cosa consista la meraviglia.
La meraviglia infatti non si trova se non nell’imitazione, attraverso altre forme, dei fondamenti della vita, non una negazione di questi.
Quando ascoltate l’Aria sulla Quarta Corda, le sensazioni che si spiccano dall’intimo dell’essere non sono estranee all’essere, ma sono proprie dell’essere, altrimenti non vi si sveglierebbero neppure.
A questo concetto dello svegliare bisognerebbe tornare con più frequenza, per capire che ciò che viene svegliato è dormente, è già vivo, è già una quiddità.
Le arti non creano il sentimento, lo suscitano, lo svegliano.
Vittorio Alfieri diceva dei sentimenti “speculando poi dopo su quegli effetti e sintomi del cuore provati allora, trovo essere stati per l’appunto quegli stessi che poi in appresso provai quando nel bollore degli anni giovenili mi trovai costretto a dividermi da una qualche donna amata ed anche a separarmi da un qualche vero amico. Dalla reminiscenza di quel mio primo dolore del cuore ne ho poi dedotta la prova che tutti gli amori dell’uomo, ancorché diversi, hanno lo stesso motore“.
L’arte sta imitando e rischiarando cose interne già alla vita, le fa lucide, toccabili coi sensi, finalmente vedute. Qui è che sta il puro dell’arte. Qui è che sta l’urgenza della forma e l’incontestabile ricorso a essa.
Forma è accostamento alla comprensione umana, giacché l’uomo per intendere deve sottoporre l’illimitato delle manifestazioni al suo limitato, cioè deve dare una forma limitata affinché veda, affinché senta.
Continua a breve in una prossima puntata…
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