“Il 70% di un buon solo è composto di triadi” Joe Pass
“Non esistono note sbagliate, solo note al posto sbagliato” Miles Davis
Dalla congiunzione di questi brevi ma incisivi aforismi, dico che è costruibile tutto un metodo di studio d’improvvisazione che si preoccupi del valore del proprio suonato. In primo luogo occorre comprendere cosa introduce valore in una musica e cosa invece ne sottrae. Il valore è sicuramente dato dalla coerenza, così come nella logica, la quale risulta tale quando ciò che si fa o si dice rientra in un sistema equilibrato, ponderato, attinente.
La musica ha una sua logica interiore.
Io ora immaginerò di avere un dialogo con uno dei miei studenti, il quale, mosso dal problema, cominci a porsi le domande che si liberino una volta per tutte dal dominio dell’incertezza.
Cos’è l’attinenza in musica allora? Rispetto a cosa deve essere attinente la musica?
Questa attinenza ci viene dal rapporto più assonante con l’armonia, ossia dalla correlazione perfetta tra armonia e melodia. Allora più creo concetti correlati alla base armonica, più musica otterrò. Anzi è compito di ogni aspirante musicista inoltrarsi prima che si può, senza perdita di tempo, nella coerente traiettoria, perché la strada è piena di fatiche.
Cos’è l’incongruenza in musica invece?
Questa non è altro che una mancata rispondenza tra armonia e melodia. Si ottiene quando, messati in mano una scala, tu pensi di poterla suonare in maniera libera, senza dare importanza a certi suoni, che l’armonia sotto ti sta implorando di darle.
Di che suoni stai parlando? Io ho una scala, posso farci quello che mi garba di più.
Non è affatto così. Si è detto della correlazione prima, ebbene, più tu fai il renitente con l’armonia più questa opposizione alla correlazione con i suoni di essa ti ribatte contro scagliandoti addosso suoni senza capo né coda, arrecandoti, come mi pare di poter supporre, una indicibile insofferenza.
Ma allora dimmi, che significa suonare secondo l’armonia?
Significa dare rilevanza gerarchica a certi suoni piuttosto che ad altri. Cosa che il lungo esercizio di scale che ti è stato compagno per anni ti ha completamente sottratto.
Talvolta maneggio certi libri di pianoforte classico, come l’Hanon, da cui Coltrane estraeva idee, e mi pare di vedere tante frasi che fremono a diventare elementi vivi, mi si svegliano in mente modi nuovi per rivoluzionare la mia dottrina musicale tali che a malapena li trattengo dal rimescolarsi tra loro, dal rinnovarsi continuamente.
E qualche volta che ho domandato ad un pianista cosa vedesse in questo enorme frasario magnifico, assuefatto dai suoi studi tecnici e non logici, mi ha risposto che altro non erano che studi tecnici. Mentre a me, con la coscienza degli accordi, mi si manifestavano come frasi educative, più profonde, disposte a darmi più indizi e tanta ispirazione.
Ma che intendi? Che sia sbagliato praticare le scale?
Niente affatto. Anzi, necessario. In quanto ti creano più dimestichezza con il tuo strumento, lo preparano ad essere un mezzo per iniziare a parlare. Non vedi forse come ai bambini venga fatto di pronunciare le vocali, di modo che siano poi preparati alla pronuncia di certe parole?
Che la bocca assuefacendosi a quegli usi, abbia già disposto il mezzo per la comunicativa? O non vedi che per edificare una casa su un terreno, questo viene dapprima spianato, reso stabile e disposto a sostenere un edificio?
Ma io ritenevo che a essere importante per la mia crescita fosse conoscere il maggior numero di scale sulla faccia del pianeta. Tanto che quando presto orecchio a un musicista mi dico a che scala si rifaccia per suonare tanto bene. Mi vuoi dire che m’inganno?
Io non so a che musica tu ti riferisca, ma sono certo che più prepari il tuo orecchio a percepire la corrispondenza tra armonia e il costruito improvvisativo, più diverrai bravo a riconoscere un vero musicista cosciente da chi fa far la spola alle note suonando scale in su e in giù. Cosa che, attualmente, forse non percepisci, e soltanto pochi riferimenti ti danno maggiore abilità di differenziare la qualità della musica.
Ma quale ragione è portatrice di questo disagio, del mancato orientamento alla giusta metodologia di studio?
Io dico che non c’è stata ragione maggiore e più difformatrice che la teoria dei modi, quando insomma si è parlato della musica modale. Non essendosi fatta corretta distinzione tra modale armonico e modale melodico, si è creduto che la musica modale ricorresse a sviluppi melodici nuovi, correlati alle scale modali, cioè che la melodia non fosse più legata alla teoria degli accordi, ma che si fondasse sulla scala, senza quelle gerarchie di suoni di cui sopra.
Perché non esiste la musica modale? Cos’è allora Kind of Blue?
Certo, esiste. Ma è un problema di tipo armonico. Mentre, mancando la chiara distinzione con la melodia, cioè non dichiarando che si trattava di un modo nuovo di sentire le armonie e non di suonare le scale modali per improvvisare, ha generato questo oblio.
Su Kind of Blue ricordo che non fu il primo album che mi fece conoscere Coltrane, piuttosto l’ultimo. Uno dei miei insegnanti me ne parlò come di una rivelazione della musica moderna, sia armonicamente che melodicamente e mi obbligò all’ascolto.
Ma Coltrane non mi pareva così diverso da come era solito di suonare, anzi lo si riconosceva per quelle sue peculiarità che usa mettere come bolli di appartenenza a ogni suo improvvisato.
Ma da dove cominciare il percorso che tu indichi come il più “ortodosso”?
Seguimi, ti mostrerò le triadi…
La triade maggiore è composta da tonica – terza maggiore – quinta giusta:
La triade minore rispetto alla maggiore ha la terza minore:
La triade aumentata rispetto alla triade maggiore ha la quinta aumentata:
La triade diminuita è come la minore ma con la quinta bemolle:
…to be continued…
Cover photo by Jakub Jankiewicz – CC BY-SA 2.0
Aggiungi Commento