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Mark Lanegan, addio alla voce che scuoteva le ossa e l’anima

Mark Lanegan è morto a soli 57 anni nella sua casa in Irlanda, cade uno degli ultimi tasselli nel domino delle voci del Grunge.

E forse, dire solo Grunge, è quantomai riduttivo…
Sicuramente Mark Lanegan è stato uno dei cantanti che più hanno elevato la qualità della musica rock anni ’90 americana influenzata dal Seattle Sound. Pur tuttavia, nella sua carriera, Lanegan è stato capace di reinventarsi più volte e di perseguire spesso scopi musicali molto intimi, da solo o insieme a musicisti che stimava, non per forza “mainstream“.
Come del resto era lui stesso, un musicista da intenditori, certo non da radio commerciale né da ascolto spensierato…

Una speranza svanita

Solo pochi mesi fa era stato pubblicato il bellissimo Devil in a coma, il libro autobiografico scritto durante un periodo in cui la salute di Mark era stata duramente messa alla prova, anche a causa del Covid. Di libri in realtà dal 2017 ad oggi ne aveva pubblicati ben 5, affiancando così un nuovo lato artistico alla sua già prolifica produzione musicale.

Nel libro Mark descrive l’aggravamento delle sue condizioni, dalle quali però sembrava essersi ripreso nonostante dichiarasse ancora alcuni acciacchi, ma i suoi tanti fan lo stavano già immaginando prima o poi di nuovo in tour e in studio per qualche nuova registrazione.

Sembrava uno degli artisti immuni alla morte, uno di quelli che sarebbero stati al mondo ancora per lungo tempo nonostante una vita vissuta a dir poco sul filo del rasoio. Ma non è sempre così e ieri sera la realtà ci ha riportato bruscamente con i piedi per terra: anche Mark Lanegan era un uomo, anche lui poteva morire.

Una vita di condivisione musicale

Durante la sua carriera Mark è stato sia membro di varie band che un artista solista e in entrambi i casi ci ha saputo regalare musica da far venire la pelle d’oca.
Dagli Screaming Trees, di cui abbiamo parlato proprio nell’ultimo live streaming di Ti Consiglio un Disco, passando per la superband grunge Mad Season.

E poi le tante collaborazioni, quella con i Queens of the Stone Age, con i Dinosaur Jr, con The Twilight Singers di Greg Dulli (Afghan Whigs), quella con il chitarrista Duke Garwood (consigliamo l’ascolto in “lisergica” penombra del disco Black Pudding), con Isobel Campbell (Belle and Sebastian), con Slash, con Moby, con i Massive Attack, con Josh Homme, e tanti altri artisti forse meno noti alle masse come Joe Cardamone (The Icarus Line), la band Hey Colossus e molti altri.

Aveva anche messo piede in Italia per collaborare con il cantante Manuel Agnelli (Afterhours) alla nuova versione della canzone “Pelle“.
Una delle sue ultime apparizioni nel nostro Paese era stata al Pistoia Blues Festival del 2018, nella stessa serata in cui si esibivano i Supersonic Blues Machine con Billy Gibbons (ZZ Top).

Noi c’eravamo proprio per intervistare quest’ultimo ed è indelebile il ricordo dei pur pochissimi attimi in cui incrociammo Lanegan nei camerini, un uomo alto e magro, con tutti i segni della vita a solcare il suo viso, ammantato da un fascino e un’aura visibili da chilometri di distanza.

E poi, ovviamente, c’è stata tutta la sua carriera solista, con una dozzina di album dal 1990 al 2022 anche molto diversi tra loro, segno di tanti cambiamenti di stile, durante un trentennio che di costante ha avuto solo la sua inimitabile voce, cavernosa, rauca, profonda, capace di sedurti dopo poche note e allo stesso tempo di trasmetterti quello che, con un ossimoro linguistico, potremmo chiamare “profondo e dolce senso di inquietudine”.

Riscoprire i suoi dischi….

Nella sua produzione sicuramente imperdibili sono The Winding Sheet (Sub Pop, 1990), Whiskey for the Holy Ghost (Sub Pop, 1994), Field Songs (Sub Pop, 2001), Bubblegum (Beggars Banquet, 2004), Blues Funeral (4AD, 2012), ma in realtà tutti i suoi dischi sono da ascoltare con attenzione, visto che riservano anche sorprese dal sapore elettronico, pur sempre nel suo stile personale.

Here comes the devil, prowl around
one whiskey for every ghost
and I’m sorry for what I’ve done
cause it’s me who knows what it cost

(da “Borracho”)

Da oggi Mark Lanegan fa parte dell’Olimpo dei musicisti che non calcano più questa terra, ma che sulla terra hanno lasciato più di una traccia impressa con decisione e difficilmente cancellabile, impossibile da imitare.
Non ci aspettavamo di dovergli dire addio così presto e, come è successo per tanti suoi colleghi e amici, da Kurt Cobain all’ultimo scomparso del grunge Chris Cornell, dovremo tentare di farcene una ragione.

Mentre troviamo le forze per farlo, sarà la sua musica a tenerci ancora in piedi.

Cover Photo by alterna2 - CC BY 4.0

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